Il fatto che Giuseppe Conte abbia cominciato da Torino il suo ciclo di incontri coi rappresentanti territoriali del Movimento 5 Stelle fa capire che le grane legali con Rousseau e le questioni relative al nuovo regolamento, a partire dal tetto dei due mandati, sono soltanto le prime difficoltà che il nuovo leader deve affrontare per traghettare i grillini verso la nuova fase.

CONTE È STATO CHIARO. Come da colloqui con Enrico Letta ha detto che l’alleanza con il Partito democratico ha bisogno di essere rilanciata fin da questo turno di amministrative. È la mission che nei giorni scorsi gli ha riconosciuto Luigi Di Maio dopo giorni di silenzio che parevano evocare una certa freddezza da parte del ministro degli esteri: portare il M5S definitivamente dalla protesta all’area di governo. C’è bisogno, ha detto Conte, di un «disegno politico unitario e complessivo» per il quale chiede «un confronto con tutte le anime che hanno dato il loro contributo nell’esperienza del governo Conte bis, e dall’esito di tale confronto dipenderanno anche le scelte sui territori».

IN QUESTO SENSO ha agito da leader: ha fatto quello che in altri momenti salienti della vita del Movimento 5 Stelle faceva Grillo, quando sentiva che c’era bisogno di una svolta ed era in grado di segnare cambiamenti profondi, come è stato per la fiducia al governo Draghi. Grillo ha altri problemi, al momento è desaparecido. E Conte ha provato a portare la nuova linea nel capoluogo piemontese, dove questioni antiche che si tramandano a dossier ancora rendono evidenti le fratture tra M5S e Pd. Lo stesso vorrebbe fare, anche se non può, a Roma, dove Virginia Raggi è di fatto già da mesi in campagna elettorale. Nelle crepe tra lo scenario capitolino e il quadro di alleanze nazionali ha provato a inserirsi Davide Casaleggio, offrendo i servizi della sua piattaforma alla sindaca. Raggi ha dovuto declinare l’offerta ma è evidente che la figura di Casaleggio incombe e rappresenta un ulteriore elemento di pressione sul M5S. Ancora ieri figure importanti del M5S come il tesoriere alla Camera Francesco Silvestri hanno criticato preventivamente l’eventuale discesa in campo del presidente della Regione Lazio.

MA SE NICOLA ZINGARETTI dovesse decidere di candidarsi la contraddizione si acuirebbero, visto che l’ex segretario Pd inevitabilmente porterebbe in dote l’alleanza con i 5 Stelle in regione. E dunque la rappresentazione di un M5S spaccato sulle alleanze sarebbe ancora più evidente. Per non parlare della situazione bolognese, dove a favore dell’accordo con il centrosinistra c’è quel Max Bugani che da consigliere comunale a Palazzo D’Accursio spinge per un’intesa con il Pd e da capo di gabinetto di Virginia Raggi in Campidoglio rema verso posizioni autonomiste. A Milano Beppe Sala pensa di chiudere la partita prima ancora che cominci, rivendicando le differenze tra la sua coalizione e il M5S: «Pensiamo che in questo momento sia meglio fare due proposte perché in questi anni è stata anche diversa la proposta dell’idea di città», dice il sindaco. L’accordo è dato per fatto solo a Napoli (dove si aspetta di sapere se il candidato sarà Roberto Fico o Gaetano Manfredi) e a Varese.

GIUSTO UNA SETTIMANA fa Enrico Letta fissava l’asticella degli accordi più in basso, accontentandosi di convergenze al ballottaggio per arginare le destre. Ma adesso Conte si trova a gestire questi passaggi delicati in modo che le strategie nazionali vengano rispettate senza che i portavoce locali si considerino mortificati. «Ogni scelta locale dovrà essere fatta insieme – dice rivolto ai torinesi – Perché non è pensabile che una forza politica di respiro nazionale possa poi affidarsi a una gestione esclusivamente atomistica e parcellizzata delle realtà locali, perdendo completamente di vista il senso di un disegno politico unitario e complessivo».

PER DARE L’IDEA dell’incertezza che circola tra le sue truppe, ieri l’ex presidente del consiglio ha dovuto rassicurare i suoi circa la possibilità di continuare a usare il simbolo del M5S, dopo la sentenza d’appello a Cagliari e il labirinto legale su regole e capi legittimi. «Il simbolo è e rimane del Movimento 5 Stelle – ha garantito l’avvocato – Le liste che rappresentano il M5S possono continuare a utilizzarlo per tutte le loro attività». Giuseppe Conte sa bene che si tratta di un auspicio più che di una sicurezza. Ma da qualche punto fermo bisognerà pure ripartire.