Per una qualche coincidenza che non può essere casuale nella sua «drammaticità», il teatro italiano si appresta in questi giorni a una sorta di violento e accelerato «gioco dell’oca» ai vertici dei più importanti enti del settore. Una serie simultanea e radicale di direttori che può innestare una «reazione a catena» dagli esiti inimmaginabili. Il la viene ovviamente dal più importante dei teatri italiani, il Piccolo di Milano, che da mesi sfibra il consiglio d’amministrazione, e anche la curiosità paziente dei propri spettatori, in una impasse che va assumendo toni tragicomici.

FAZIONI e maggioranze risicate, ambizioni e «raccomandazioni», tengono il Piccolo, «teatro d’Europa», dentro un vaudeville di cui non si vede l’esito. Il candidato «forte» degli ultimi giorni, Claudio Longhi, non ha ottenuto il voto dei rappresentanti della Regione Lombardia, con cui si misurerà direttamente ora il presidente del cda. Sembrano preistoriche le ombre di Strehler che il Piccolo ha fondato, e di Ronconi che lo ha glorificato negli ultimi 15 anni. Non appare l’ombra del manager, fino a poche settimane fa invocato e preclusivo, dietro la scelta di Longhi, che attualmente dirige Emilia Romagna teatro, fino a pochi anni fa la realtà più agguerrita sul nuovo e sull’estero: figura di accademico (è ordinario al Dams bolognese), ma anche saggista copioso, e anche regista. Le esigenze cambiano evidentemente in fretta. Oltre al fatto che la dipartita di Longhi dall’Ert aprirebbe anche lì il problema della successione. Ma i responsabili assicurano di avere altri assi nella manica: così gira voce nel Pd emiliano romagnolo, di cui si è fatto portavoce il ferrarese ministro dello spettacolo Franceschini. Che è notoriamente ignaro di quanto avvenga dietro le luci del palcoscenico. Non a caso il giorno stesso della sua riconferma a ministro ha richiamato al Collegio Romano Salvo Nastasi come suo onnipotente segretario generale, un vero factotum.

MA SE MILANO non ride, è in ambasce anche Roma, dove si attende il direttore amministrativo che possa dar corpo al teatro dei due consulenti artistici dello stabile, Giorgio Barberio Corsetti e Francesca Corona. E dopo la call del cda, girava già il nome di Anna Cremonini, lungo curriculum dal Teatro di Parma alla Biennale veneziana all’Auditorium romano, attualmente direttrice del festival Torinodanza, altra istituzione nel caso destinata a crisi successorie (anche il direttore dello stabile torinese Fonsatti, forse ritenuto il migliore in Italia, era stato in corsa per il Piccolo, in in tandem con Mario Martone, ma fatti fuori dal solito cda capriccioso).

A PROPOSITO della tormentata nomina romana per l’Argentina, ci sono state discese in campo particolarmente aggressive, sia sul Messaggero che sul Corriere della sera. Poco abituali e poco forbite, rivelatrici di partite in gioco evidentemente pesanti. Tanto da evocare altri ex direttori in cerca di incarico. Senza fermarsi stavolta ad Antonio Calbi, noto per la incontrollabile bulimia direttiva, quanto, ad esempio, a Luca De Fusco, esautorato a Napoli dopo anni totalitari di stabile e festival. Ci sarebbe Trieste dove lascia il direttore Franco Però, ma quella ribalta di confine è forse troppo piccola e periferica. E si potrebbero aggiungere i teatri lirici, pullulanti di direttori chiamati dall’estero, mentre resta disoccupato l’unico che dopo aver avviato il risanamento del Maggio Fiorentino senza abbassarne il livello è stato costretto a sbattere la porta, Cristiano Chiarot. E solo tra una settimana si aprirà la successione alla Biennale Teatro, dove Antonio Latella termina il suo mandato.

IL PROBLEMA, come è evidente, riguarda innanzitutto la politica, e specialmente quella di sinistra, che si trova a gestire nomine e incarichi di cui non conosce né comprende le necessità. Così che tutto si riduce a una pura pratica di potere e simpatie. E altrettanto evidente è come nessuno pensi mai al pubblico, quello che paga il biglietto, e di fatto lo stipendio di attori e tecnici, al di la delle elargizioni macchinose e talvolta ballerine di stato ed enti locali. Tutto molto «casuale»: un fiume milionario a Barbareschi, appoggiato anche a sinistra, e reciprocamente chiusura senza tante spiegazioni per spazi e manifestazioni di sicuro interesse, un esempio per tutti a Roma Le vie dei festival.
Un pubblico che non va a teatro solo per rincorrere i «divi» della tv, ma possibilmente vorrebbe divertirsi ragionando, e magari commuoversi. Di quel pubblico, fondamentale per i conti al botteghino, non si parla, né tanto meno ne parla (o ne sa) la pletora dei candidati di questo can can che si mordicchia continuamente la coda, e ricomincia ogni volta instancabile. Con gli stessi interpreti. Registi cacciati, più o meno delicatamente, da un teatro e da una realtà, che riescono a imporsi in un’altra, come fossero scoperte improvvise, o speranze. I cda dovrebbero studiare e documentarsi meglio sui curricula, su cosa portano in dote eventuali nuovi direttori, cosa son stati capaci di realizzare e comunicare. Sembrerebbe un compito minimo, ma non sembra interessare a nessuno.