Il Regional Comprehensive Economic Partnership (meglio noto come Rcep) firmato domenica scorsa in video-conferenza al vertice Aseanè un grande mosaico di paesi dell’Asia-Pacifico, spesso anche molto diversi per modello e livello di sviluppo economico.

Dall’ipertecnologico Giappone, alle economie in via di sviluppo come il Vietnam, passando per le ambizioni techno-industriali della Cina e l’arretratezza di altri paesi come il Laos, Rcep è un accordo commerciale che è riuscito a tenere assieme paesi con esigenze estremamente diverse. L’accordo crea un’area di libero scambio tra i 15 paesi della regione, abbattendo i dazi su circa il 90% dei beni commerciati e migliorando la capacità delle imprese asiatiche di sviluppare delle catene di produzione industriali su base regionale.

Eppure le critiche non sono state poche, a cominciare dalla considerazione che i trattati pre-esistenti avevano già ridotto la gran parte dei dazi e che Rcep non stabilisce nuovi e significativi standard per la commercializzazione dei prodotti.

Nonostante sia spesso stato descritto come a guida cinese, Rcep è stato concepito nel sud-est asiatico e questa è stata appunto la chiave del suo successo: difficilmente infatti l’accordo avrebbe potuto avere successo se fosse stato proposto da una delle grandi potenze asiatiche.
L’area di libero scambio permetterà ai paesi dell’Asean, l’associazione nelle nazioni del sud-est asiatico, di far leva sul proprio basso costo del lavoro per attrarre investimenti da parte delle imprese dei paesi più sviluppati.

Sebbene questa dinamica sia già in corso con la ricollocazione di alcune industrie dalla Cina a seguito della guerra commerciale lanciata da Trump, Rcep dovrebbe creare regole più uniformi per il commercio regionale e dunque facilitare la delocalizzazione verso il sud-est asiatico.

La mancanza di standard in tema ambientale e di diritti dei lavoratori non è un caso infatti.

Da parte sua la Cina potrebbe subire qualche perdita in termini di posti di lavoro, ma è probabile che ciò avvenga in settori dal basso valore aggiunto. Ribilanciare la produzione industriale è però uno degli obiettivi che il nuovo piano quinquennale ha lanciato con il concetto della «doppia circolazione», il cui scopo è sostenere una crescita soprattutto qualitativa del Pil in settori a più alto valore aggiunto. La vera vittoria per Pechino sta però nella creazione stessa di Rcep, ossia di un accordo commerciale esclusivamente asiatico dal quale sono esclusi gli Usa.

Da un lato la Cina rinforza le proprie credenziali di potenza multilateralista, dall’altro con la prossima creazione di un segretariato di Rcep disporrà di una piattaforma organizzativa privilegiata per condurre un dialogo economico con i propri partner e, eventualmente, stabilire nuove regole per il commercio asiatico.

Rcep è anche un importante passo avanti nei rapporti tra Tokyo, Pechino e Seoul, che da diversi anni stanno provando a concludere un trattato di libero scambio trilaterale.

È infatti il primo accordo commerciale per la riduzione dei dazi tra Cina e Giappone, e una volta che sarà entrato in vigore la percentuale dell’export giapponese verso la Cina non sottoposta a dazi passerà dall’8% all’86%.

Il governo liberal-democratico giapponese però evita di scoprirsi sul fianco politicamente sensibile del settore agricolo, mantenendo alte barriere doganali attorno a prodotti come il riso e la carne rossa per non allontanare il proprio elettorato rurale.

Ma ciò che preoccupa realmente il governo di Tokyo è la posizione economica centrale che la Cina occuperà col nuovo trattato, tanto che dopo il ritiro dell’India dai negoziati nel novembre 2019, per un certo periodo sembrava che il Giappone potesse decidere di non firmare. A riprova dei timori giapponesi, il giorno della firma il premier Suga ha detto che lavorerà per far sì che anche l’Asia meridionale possa entrare nell’area di libero scambio Rcep.

Insomma, Rcep è stato descritto come il più grande accordo commerciale del mondo o come un accordo con poche ambizioni. Ma è probabile che in Asia il trattato sia visto attraverso lenti diverse, pure molto differenti tra loro.

Non deve stupire infatti che il testo approvato non contenga norme all’avanguardia (come fu il caso del Trans-Pacific Partnership promosso da Obama) appunto perché esso è una soluzione di compromesso tra esigenze e interessi variegati.

Un catalizzatore di crescita, una struttura per ingabbiare rivalità tra Stati o una piattaforma per espandere la propria influenza, Rcep può essere tutte queste cose alla volta. A seconda che lo si guardi da Seoul, Bangkok, Pechino o Tokyo.