«Mi dispiace aver visto un’opposizione così dura su un provvedimento di questo genere». Quando Giorgia Meloni parla a Montecitorio del «decreto rave», durante la conferenza stampa di fine d’anno, con l’imbarazzo di chi dall’opposizione ha sempre criticato le forzature parlamentari della maggioranza, i lavori nell’aula della camera dei deputati sono sospesi. Sono andati avanti nella notte precedente fino alle quattro del mattino quando, conclusa l’illustrazione dei 157 ordini del giorno, quasi tutti di minoranza, anche la seduta fiume imposta dalla maggioranza per fiaccare l’ostruzionismo va in pausa.

La chiusura anticipata della discussione generale, il voto di fiducia, infine la seduta fiume, ancora non rassicurano la maggioranza sulla conversione del primo decreto del governo entro la scadenza dei sessanta giorni, che scatta oggi a mezzanotte. Per cui oggi pomeriggio si attende la decisione del presidente della camera di azionare, per la seconda volta nella storia parlamentare, la «ghigliottina». Vale a dire la fine autoritaria del dibattito, e dunque dell’ostruzionismo, e l’immediato passaggio al voto del decreto in scadenza. L’unico precedente è quello del febbraio 2014, presidente Boldrini (gli altri, richiamati dalla maggioranza, come quello del 2010 con Violante alla presidenza, furono interventi minacciati ma non attuati). Boldrini negli ultimi giorni del governo Letta, per salvare il decreto Imu-Bankitalia, applicò per analogia una norma del regolamento del senato, non presente in quello della camera, (il quinto comma dell’articolo 78) originariamente prevista per le prime letture dei decreti: scattava infatti dopo trenta giorni per lasciarne altrettanti all’esame del decreto alla camera. La decadenza di un decreto legge, infatti, è un fatto normale, lo ha ribadito anche la Corte costituzionale in più occasioni, è un evento fisiologico legato alla straordinarietà dello strumento legislativo in mano all’organo esecutivo.

In questo caso, poi, la decadenza del decreto sarebbe perfettamente sopportabile. Il trascorrere del tempo infatti ha già esaurito gli effetti sia del richiamo anticipato in servizio dei medici no vax, sia del rinvio dell’entrata in vigore della riforma penale Cartabia. Quanto al terzo argomento del decreto, la norma che ha introdotto il reato penale (punito fino a sei anni!) di rave party, è così poco indispensabile che lo stesso governo l’ha completamente riscritta rispetto al testo uscito dal Consiglio dei ministri. Che si era tenuto proprio mentre un rave party, a Modena, veniva sciolto pacificamente e senza bisogno di una nuova norma penale. Su tutto questo Meloni ha sorvolato durante la conferenza stampa, preferendo concentrarsi sul quarto punto del decreto: le modifiche all’ergastolo ostativo che trasformano da assoluta a relativa la presunzione di pericolosità dei detenuti che non collaborano con la giustizia. Modifiche che hanno aggravato, però, le condizioni in base alle quali queste detenuti – condannati per mafia, terrorismo o altri reati gravissimi, non più quelli contro la pubblica amministrazione – possono chiedere l’accesso ai benefici penitenziari. «Se non si converte questo decreto avremo un buco nell’ordinamento per la lotta alla criminalità organizzata», ha detto Meloni, che però nella scorsa legislatura si rifiutò di votare un testo sostanzialmente identico a questo. In realtà il decreto in questione è servito soprattutto alla Corte costituzionale, che da maggio 2021 ha individuato l’incostituzionalità dell’attuale disciplina, per rinviare ulteriormente (alla Cassazione) una decisione nel merito.

Ieri, alle sette di sera, è cominciato il secondo tempo dell’ostruzionismo, stavolta nella fase delle votazioni. Con deputate e deputati di opposizione che chiedevano in continuazione di sottoscrivere gli ordini del giorno e poi, una volta sottoscritto, di togliere la firma. Molto lentamente, con la conduzione ancora acerba dell’aula da parte del presidente Fontana, il capitolo degli ordini del giorno si è avviato a conclusione, lasciando poi spazio nella notte alle dichiarazioni di voto per le quali ogni deputato, si iscrivono in 134 tutti di opposizione, ha dieci minuti a sua disposizione. Ma Fontana, come gli consente di fare la seduta fiume, ha già fissato il voto finale per oggi «non prima delle 11». Il che consente alla maggioranza di dormire tranquilla, disertando l’aula senza temere agguati, mentre l’opposizione dovrà tenere viva la seduta intervenendo tutta la notte e anche oggi fino a costringere il presidente a far scattare la ghigliottina. Ed siamo solo al primo decreto legge.