In uniforme da generale dell’esercito, Raúl Castro ha confermato venerdì di lasciare il comando del Partito comunista cubano. E dunque l’ultimo incarico di potere pubblico.

Lo ha fatto, alla soglia dei 90 anni, in un lungo e emotivo discorso all’inizio dell’VIII Congreso del Pcc, trasmesso in televisione dopo il notiziario della sera. Il Congresso infatti si svolge a porte chiuse e a ranghi ridotti a causa della pandemia di coronavirus.

«NIENTE, RIPETO NIENTE, mi obbliga a questa decisione» ha detto l’ex presidente battendo la mano sul leggio. Si trata di una scelta maturata da anni nella consapevolezza di lasciare le sorti del paese «a un gruppo di dirigenti preparati…venuti dalla base e consci di rappresentare la continuità della Rivoluzione», guidata dal fratello e vittoriosa nel 1959.

Senza annunciarlo formalmente, Raúl ha confermato che l’incarico di primo segretario del partito sarà conferito al presidente Miguel Díaz-Canel, «che ha saputo formare una squadra (di governo) e rafforzare l’unità nel vertice» del partito- Stato. Si possono fare critiche alla direzione politica cubana.
Non quella di pendere decisioni improvvisate e soprattutto senza una forte coesione nel grupo della segreteria. Fin da quando ha assunto la presidenza della Repubblica, in sostituzione del fratello maggiore, Raúl ha promosso una forma di governo collegiale, rafforzando appunto l’istituzionalità nel partito – con un maggior peso della segreteria dell’Ufficio politico – e nello Stato, con più protagonismo al Consiglio di Stato. «È il partito il vero erede di Fidel», aveva messo in chiaro. E anche venerdì ha ribadito – suscitando una standing ovation- che «resterà membro attivo del partito fino alla morte».

È DUNQUE PROBABILE che anche gli altri membri dell’Ufficio politico del Pc che hanno passato la soglia degli 80 anni daranno le dimissioni. «Credo fermamente nella forza e nel valore dell’esempio», ha detto con enfasi Raúl Castro. Confermando dunque che quadri della «generazione nata dopo il ‘59» assumeranno posizioni di rilievo sia nel partito, sia nella gestione dello Stato.

Naturalmente, con l’appoggio e – alcuni commentatori aggiungono il controllo – dei leader «storici», quelli che hanno avuto – e conservano in gran parte – il carisma e la legittimazione a governare dall’aver partecipato e vinto con la Rivoluzione. Qualità questa di cui non gode Díaz-Canel, nato nel 1960, afferma l’ex diplomatico e membro del Pc, Carlos Alzugaray.

UN COMPITO DIFFICILE. Come ha sottolineato Raúl nel suo discorso continua il bloqueo degli Stati uniti, reso più feroce dall’ex presidente Trump che ha aggiunto di suo 240 tra misure e sanzioni contro l’isola, e che l’attuale leader della Casa bianca (non nominato direttamenteda Raúl) mantiene. Come pure mantiene una política aggressiva «volta a provocare un’esplosione sociale» a Cuba.

«COME DICIAMO NOI CUBANI, a Díaz-Canel tocca ballare con la più brutta. Deve affrontare condizioni molto difficili, sia dal punto di vista economico, con una crisi resa ancora più acuta dalla pandemia, sia internazionali» vista la tendenza a una nuova guerra fredda, sostiene Alzugaray.
Sia sociale, con un crescente malcontento della popolazione a causa delle difficoltà quotidiane di procurarsi generi di prima necessità.

Anche per l’economista Omar Everleny, la «continuità» sottolineata da Raúl dovrà essere associata a riforme di peso. Che il nuovo primo segretario generale potrà attuare solo avendo coagulato rapporti di forza interni al Pcc capaci di contrastare quella che l’ex diplomatico definisce «una vecchia mentalità burocratica-conservatrice».

Nella direzione di rafforzare la segreteria di Díaz-Canel va letta la decisione presa alla vigilia del Congresso di sostituire il ministro delle Forze armate rivoluzionarie (Far), il generale Cintra Frías con il suo vice, Alvaro López Miera, anche lui generale, eroe della rivoluzione. E soprattutto un fedelissimo di Raúl Castro, il quale rinnova così il suo appoggio concreto al suo Delfino.