Remember This House è il titolo del libro che James Baldwin intendeva dedicare ai tre grandi leader del movimento per i diritti civili, e suoi amici, Medgar Evers, Martin Luther King e Malcolm X. Le uniche 30 pagine di quel libro, che Baldwin scrisse prima di morire, nel 1987, sono al centro del nuovo, magnifico, film di Raoul Peck, I Am Not Your Negro, testo altissimo, di cinema, poesia e politica, narrato attraverso le parole stesse dello scrittore di The Fire Next Time (i suoi eredi – grandi fan di Lumumba, hanno dato a Peck i diritti di tutta l’opera), pronunciate con dolcezza da brivido dal molto poco dolce Samuel Jackson.

Presentato in autunno al New York Film Festival, il film di Peck è arrivato nella cinquina dei doc nominati per l’Oscar insieme ad altri due film che scavano nel problema del razzismo, OJ: Made in America di Ezra Edelman e a The 13th, di Ava DuVernay. Come il film di DuVernay, anche quello di Peck oscilla tra passato (gli anni del movimento per i diritti civili) e presente (Ferguson, l’elezione di Obama, persino uno squarcio di Trump) ma, laddove The 13th è costruito sul principio della causalità rigida, prevedibile, di un progetto «a tesi», e montato di conseguenza, il ritmo e le associazioni d’immagini, parole e suoni di I Am Not Your Negro trasmettono l’emozione irrequieta della ricerca e lo sguardo limpido, senza paura, della filosofia.

 

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Nel film di Peck è infatti la grande lezione del cinema colto e libero di Charles Burnett e Hailè Gerima, due maestri riconosciuti da questo autore apolide che, come Baldwin (che visse parecchi anni in Francia), può guardare alla questione della razza in America con la chiarezza ulteriore di un outsider.

Le parole selezionate con cura dai suoi libri, e da apparizioni importanti, Baldwin (che nei Sixties era un intellettuale su scala internazionale e godeva quindi di un’autonomia e di un’immunità che Evers, King e Malcolm X non potevano permettersi) è una guida ideale di questo viaggio nel tempo, e nel cinema come specchio di una percezione del mondo condizionata dai pregiudizi di razza.

Attraverso quello che dice, sovrapposto a immagini degli scontri di allora che si alterano a quelli di oggi, il film eleva la riflessione sul razzismo – aldilà del catalogo delle ingiustizie e dei soprusi- su un piano teorico più alto, atemporale. Il problema della razza un nodo in cui si avvita non solo il destino dalla comunità afroamericana ma dell’America stessa: «Non c’è speranza per l’American dream, perché la semplice esistenza delle persone a cui quel sogno è negato lo farà a pezzi», dice Baldwin. Sono parole – pronunciate circa 50 anni fa- che colpiscono nella loro attualità – specialmente di fronte alle immagini degli afroamericani oggi uccisi dalla polizia e alla deriva razzista intrinseca alla vittoria di Trump alla Casa bianca – ma ancora di più perché rifiutano il presupposto delle identity politics che oggi rende «piccolo», limitato, quasi ogni discorso sulla società civile. E non solo quando si parla di razza. Per proiezioni italiane:http://wantedcinema.eu/catalogo/