Rachel Katumwa è stata uccisa mentre era in servizio nel Parco nazionale del Virunga nella Repubblica Democratica del Congo, dove hanno trovato rifugio gli ultimi gorilla di montagna. Aveva solo 25 anni ed era una delle 29 donne tra gli 800 guardiaparco. Poche settimane prima altri suoi cinque colleghi più un autista erano stati uccisi allo stesso modo. Sono 871 i ranger che nel mondo hanno perso la vita mentre svolgevano la loro attività a partire dal 2009, anno in cui l’International Ranger Federation e la Thin Green Line Foundation hanno iniziato a registrare ufficialmente i dati. 48 delle 107 vittime del 2017 erano donne: uccise sul posto di lavoro mentre, insieme ai loro colleghi maschi, proteggevano parchi e specie a rischio. Sono i dati di una piccola guerra combattuta in tutto il mondo per la tutela dell’ambiente e degli habitat naturali e sono stati pubblicati dal Wwf lo scorso 31 luglio in occasione della Giornata mondiale del ranger. «Non si tratta solo di numeri, ma di uomini e donne che lasciano le loro famiglie, spesso solo con il poco supporto che gli possiamo fornire», fa osservare Sean Willmore, presidente dell’Irf e ideatore della fondazione benefica Tglf. «In tutto il mondo si registra un rapido declino della natura che riguarda anche alcune delle nostre specie più amate», aggiunge Rohit Singh, responsabile del progetto Wwf Zero Bracconaggio e presidente della Federazione dei ranger in Asia, che evidenzia come le guardie sono in prima linea per proteggere principalmente specie faunistiche ormai rare e lo fanno il più delle volte in numero non adeguato e ricevendo stipendi bassi, senza assicurazione e con poca formazione. In Asia e Africa si trovano le situazioni più pericolose a causa dell’alta presenza di bracconaggio sovvenzionato dalla domanda, soprattutto cinese, di prodotti commerciali illegali. L’86% dei ranger intervistati durante il sondaggio che il Wwf sta conducendo nei vari hotspot del bracconaggio mondiale pensa che il proprio lavoro sia pericoloso e i tragici incidenti accaduti di recente dimostrano quanto queste preoccupazioni siano fondate. Peraltro, nonostante gli alti rischi per gli scontri a fuoco con i bracconieri, gli incontri con specie pericolose e le malattie infettive come la malaria, nell’ultimo anno solo il 15% dei ranger intervistati è stato addestrato all’attività di pronto soccorso e il 58% ha dichiarato che, quando ha avuto bisogno di cure mediche, il servizio ricevuto non gli è sembrato sufficiente. Il sondaggio evidenzia la mancanza di un’assicurazione a tutela dei ranger e dei familiari a loro carico. In Asia, un ranger viene pagato in media 292 dollari al mese, mentre in Africa Centrale 150 dollari: cifre che molto spesso rappresentano la principale, se non l’unica, fonte di reddito per tutta la famiglia. In ottobre si svolgerà a Londra la Conferenza sul commercio illegale di specie selvatiche: sarà l’occasione per verificare il rispetto degli impegni presi dai vari Paesi afflitti dalla piaga del bracconaggio. L’obiettivo è avere un numero idoneo di ranger con un adeguato addestramento (compreso quello di primo soccorso), un più efficace piano di trattamento medico in caso di emergenza, attrezzature e dispositivi di comunicazione appropriati ai luoghi in cui si opera, una copertura assicurativa del 100% in caso di lesioni gravi e morte.