Parabola amara, favola malinconica del disincanto postbellico ma ancora valida per ogni possibile contemporaneità, The Rake’s Progress era considerata a ragione da Igor Stravinskij «l’opera più importante della mia vita», sempre che si decida di valutare come a sé stanti i suoi seminali balletti d’inizio secolo. Proprio nelle settimane di forti turbolenze per la fondazione fiorentina, culminate con le dimissioni del sovrintendente Alexander Pereira, sostituito pro tempore dal commissario straordinario Onofrio Cutaia, il Maggio Fiorentino fa centro con un secondo spettacolo di spessore dopo il Doktor Faust di Busoni.

INQUADRATO in un singolare festival di Carnevale fiorentino dedicato al Faust di Goethe, The Rake’s Progress è stato proposto da domenica 12 allo scorso 26 marzo in cinque recite che trovavano nel direttore Daniele Gatti il cardine della produzione. Maturata in una frequentazione che dagli anni di Bologna arriva alle recite concertanti romane all’Accademia di Santa Cecilia, la visione di Gatti concatena una narrazione serrata senza sacrificare i respiri e le trasparenze mirabili della scrittura orchestrale. Un gioco ritmico incessante, teso sul filo di una lama leggera, anche quando Stravinskij accosta il tributo alla temperie classica a densità commosse o fastose di impasti timbrici da opera romantica.

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Le magie di StravinskyUNA CONCEZIONE che trova felice rispondenza nello spettacolo agile e vivace di Frederic Wake-Walker , con scene e costumi di Anna Jones, che trattiene entro il limite del consentito il tratto clownesco. Anche quando trasforma Baba La Turca – Adriana Di Paola, sonora e coinvolgente – in un’artista pop alla Lady Gaga, non barbuta ma calva e schiava dei social, ogni passo una fotografia per i fans, tra un via vai di consegne di pacchi, il tratto rimane quello acre delle incisioni di Hogart, le stesse che Stravinskij aveva visto in mostra a Chicago, primigenia scintilla del progetto dell’opera. Lo scorrere di scene colorate, fra neon e richiami agli anni Cinquanta, inclusa la macchina truffaldina che muta le pietre in pane, dalle curvature di un giocattolo di latta, si completa anche con un uso misurato e efficace dei video di Ergo Phizmiz, specie quando impiegati per sfondare la parete su una lontana felicità agreste.
È il tempo perduto dell’amore innocente fra il Tom Rakewell spavaldo di Matthew Swensen e la Anne di Sara Blanch, voce calda e luminosa. Vito Priante, Nick Shadow che snocciola impeccabile l’inglese del formidabile libretto, non si ostina a cercare sfumature demoniache ma lascia che siano Auden e Kalkman a far filtrare dal canto suadente il veleno dell’inganno, finché la trappola scatta nella scena del cimitero, forse la migliore dell’intero spettacolo. Ben a fuoco anche il Sellem spiritato di Christian Collia, il severo Padre Trulove di James Platt e Marie Claude Chappuis, tenutaria del postribolo, dalle sfumature beffarde e abbigliata da giostra luminosa. Il pubblico alla fine festeggia tutti, con ovazioni per orchestra, coro e Gatti.