Il groviglio di lame che dallo scorso novembre è sciaguratamente ritornato a luccicare sulla sommità delle recinzioni che separano il Marocco dalle enclave spagnole di Ceuta e Melilla resterà dov’è. A poco sono servite le potreste delle associazioni per i diritti umani che, mercoledì scorso, nella giornata internazionale del migrante, sono tornate ad esprimere sconcerto per una misura che, oltre ad essere inefficace e pericolosa, «limita il diritto personale alla migrazione». D’altra parte il ministro degli Interni Jorge Fernández Díaz si è sempre dimostrato inflessibile sull’argomento, difendendo tenacemente la stretta sulle frontiere. Sia in sede nazionale, sia presso l’Unione europea, la quale aveva sollevato perplessità sull’uso delle lame come metodo di dissuasione nei confronti dei flussi di migranti che premono su Ceuta e Melilla, avamposti europei in territorio marocchino e snodi sempre più battuti delle rotte verso il vecchio continente.

«La misura adottata dal governo spagnolo – aveva dichiarato un paio di settimane fa il commissario europeo per gli affari interni Cecilia Malmström – ha un dubbio effetto deterrente e può provocare lesioni gravi». Ragione per cui, le lame, che già furono poste in passato a fortificazione della frontiera africana, furono rimosse nel 2005 dal governo di Zapatero, che le definì «inumane». D’altro avviso, però, Fernández Díaz, che ha cercato di divincolarsi dalle pressioni che arrivano ormai da più parti (da tutta l’opposizione, ma anche dalla conferenza episcopale e dalla procura generale dello stato, che ha aperto un’inchiesta) parlando di un «metodo passivo, non aggressivo ed efficace». Un’efficacia nefasta che i migranti (si stima che vivano sui monti nei pressi di Ceuta e Melilla circa 1500 persone in attesa del «salto») avranno modo di sperimentare sulla loro pelle, con conseguenze che – come denunciano varie associazioni per i diritti umani – potrebbero essere persino letali.

Anche sulla possibile violazione delle norme Ue, rilevata dal commissario Malmström, il ministro spagnolo sembra tranquillo: «Non ci risulta che questa misura contravvenga alla legislazione comunitaria – ha precisato. Anzi, a noi consta che le lame siano utilizzate anche a protezione di altre frontiere europee. Certo – ha aggiunto -, se venisse dimostrato il contrario saremmo pronti a rivedere la nostra scelta». Difficile, in realtà, anche perché il ministro gode del pieno appoggio del presidente del governo Mariano Rajoy, che ha già sostenuto altre clamorose misure reazionarie come la negazione dell’assistenza sanitaria agli irregolari, le limitazioni sull’aborto e le restrizioni sul diritto di manifestazione.

La strategia è chiara e ha come fine quello di rafforzare il legame con le correnti più conservatrici del partito e dell’elettorato; ma comporta un rischio sinistro che Rajoy e il suo esecutivo sembrano tuttavia disposti ad assumersi: quello di attizzare le braci di una xenofobia che in Spagna non è ancora esplosa, ma che nella crisi e nell’esasperante livello di disoccupazione trova un favorevole e virulento brodo di coltura.

Le ripercussioni sociali di tale atteggiamento di sistematica stigmatizzazione dell’immigrazione saranno l’eredità più funesta e duratura che lascerà il Partido popular, fermo restando che, per il governo, non tutti gli immigrati sono uguali: chi viene in Spagna per comprare una casa di più di 500 mila trova ad attenderlo un permesso di soggiorno (norma approvata in questa legislatura); chi invece scappa dalla miseria, delle lame affilate su una rete di metallo alta sei metri.