Per i tremila abitanti del villaggio palestinese di Urif, a una dozzina di chilometri da Nablus, ieri si sono vissute nuove ore di tensione e paura. Come era già accaduto alcuni giorni fa, decine di coloni del vicino insediamento israeliano di Yitzhar sono scesi verso Urif per minacciare con lanci di pietre e bottiglie gli abitanti delle case più periferiche del villaggio. Considerati tra i seguaci più estremisti del sionismo religioso, i coloni di Yitzhar furono protagonisti già il 19 maggio del 2012 di un pesante raid a Urif che sfociò nel ferimento grave di un palestinese, colpito allo stomaco da un proiettile. Appena qualche giorno fa altri coloni avevano aggredito con lanci di pietre palestinesi e attivisti israeliani nella Valle del Giordano.

Motivo di questo nuovo raid è il controllo della terra tra il villaggio e la colonia. Gli agricoltori di Urif cercano di raggiungere i loro campi all’interno di una zona che i coloni considerano parte dell’area di sicurezza del loro insediamento. Un lembo di terra sul quale dovrebbe estendersi Yitzhar e che i palestinesi vogliono recuperare coltivando i loro campi. I terreni incolti a ridosso delle colonie – in buona parte dei casi perché i proprietari non riescono più a raggiungerli – sono quasi sempre dichiarati “beni demaniali” dall’Amministrazione civile israeliana e, qualche tempo dopo, resi disponibili per l’espansione delle colonie. Ne sanno qualcosa i villaggi di Sinjil, Luban ash Sharqiyyeh, Qariut e as-Sawiya, che si sono visti portare via nelle scorse settimane 250 ettari di terra “incolta”.

Gli abitanti di Urif sono sconfortati. I raid ormai sono settimanali e non portano a nulla le inchieste dell’Esercito sulle violenze commesse dai coloni. Il mese scorso l’Ong israeliana Yesh Din ha riferito che negli ultimi tre anni le autorità militari hanno rinviato a giudizio solo nell’8,2 per cento dei casi i coloni responsabili di aggressioni – nel 215 le Nazioni Unite hanno registrato 221 attacchi contro i palestinesi e loro proprietà e 107 nel 2016 – rispetto all’elevata percentuale di condanne (90 per cento) inflitte ai palestinesi.

Alle colonie nella zona palestinese (Est) di Gerusalemme le autorità israeliane si preparano ad aggiungere altre 15mila alloggi. L’annuncio sarà fatto con ogni probabilità il 24 maggio, nel “giorno di Gerusalemme”. Tutto regolare per il sindaco Nir Barkat, che in vista dei festeggiamenti per la “riunificazione” di Gerusalemme, successiva all’occupazione israeliana della parte Est nel 1967, si propone come il padre di tutti gli abitanti. Premettendo che la città rimarrà unita sotto sovranità israeliana, Barkat due giorni fa ha respinto l’accusa di discriminazione e ha affermato che tutti gli abitanti di Gerusalemme «sono miei figli». Immediata la replica dell’associazione israeliana Ir Amin: «se sono tutti tuoi figli perché 8 su 10 dei bambini di Gerusalemme Est vivono sotto la soglia di povertà?». Ir Amin ricorda che il comune investe appena il 10% del suo budget nella zona Est dove vive oltre un 1/3 degli abitanti della città.