Sono notti insonni per i palestinesi di Gaza. Da giorni l’aviazione israeliana bombarda la Striscia, nel mirino – dice l’esercito israeliano – postazioni e infrastrutture di Hamas. Martedì notte e ieri è successo di nuovo, una serie di raid aerei con «jet, elicotteri e carri armati» in risposta al lancio di palloncini incendiari partiti dall’enclave palestinese e caduti in territorio israeliano, dove hanno provocato circa 60 incendi senza vittime.

Nessuna vittima neanche sul lato palestinese, gli ultimi bombardamenti hanno colpito aree agricole, sempre meno accessibili ai contadini gazawi. È da qui, secondo Israele che partono i palloncini e gli aquiloni, “arma” comparsa nei mesi della Grande Marcia del Ritorno, tra il 2018 e il 2019.

Per Tel Aviv una minaccia alla sicurezza nazionale, tanto da dispiegare – a partire da ieri – una sorta di Iron Dome anti-palloncini: si chiama Light Blade e usa tecnologie laser per intercettare in un raggio di due km e spegnere i fuochi volanti, prima strumentazione simile al mondo, creata da ingegneri della Ben Gurion University e testati sul terreno (come accade per le armi impiegate nelle offensive contro Gaza).

Nei giorni scorsi si è palesata anche Hamas con razzi lanciati in mare. Secondo una fonte interna al movimento che ha parlato con l’Afp, si è trattato di «un messaggio» a Israele riguardo gli aiuti umanitari per Gaza, ridotta allo stremo: «Dicevano che c’erano degli accordi su progetti nel campo delle infrastrutture e sul piano umanitario, ma è tutto fermo».

Il riferimento è all’intesa a tre con il Qatar, in cima alla lista dei sostenitori di Hamas: Tel Aviv aveva dato luce verde all’arrivo di decine di milioni di dollari (con pagamenti mensili) per il funzionamento dell’impianto elettrico, il versamento di stipendi pubblici e sussidi alle famiglie più povere in cambio della fine di proteste e palloncini. Pagamenti che scadono a settembre e che il Qatar ha già minacciato di tagliare, come protesta verso il piano di annessione israeliano del 30% di Cisgiordania occupata.

La risposta israeliana alle pressioni di Hamas per allungare di altri sei mesi il flusso di aiuti (fondamentali alla sopravvivenza in piena epidemia Covid-19 e nuovi picchi di disoccupazione) non è arrivata solo dal cielo: martedì le autorità israeliane hanno chiuso il valico di Kerem Shalom, l’unico tra Israele e la Striscia dedicato all’ingresso di merci. Passano cibo e carburante ma niente di più, tanto da spingere l’Egitto del presidente al-Sisi (acerrimo nemico dei Fratelli musulmani, che ha dedicato sforzi ingenti per distruggere i tunnel sotterranei e isolare ancora di più l’enclave palestinese) ad aprire il valico di Rafah per tre giorni. Era chiuso da aprile.

Palliativi per una situazione di emergenza cronica e assedio soffocante. Meno di un mese fa lo special rapporteur Onu sulla Palestina, Michael Lynk, denunciava l’assedio come «politica di punizione collettiva».