È andato avanti imperterrito, Antonio Verro. Ha presentato il suo ordine del giorno che teneva in caldo da circa sei mesi, e il cda Rai lo ha approvato. L’azienda farà dunque ricorso contro il taglio da 150 milioni sul canone 2014 previsto dal decreto Irpef (per finanziare il bonus degli 80 euro) e così Renzi deve fare i conti anche con il vecchio classico dal titolo «bufera a viale Mazzini».
La votazione provoca un certo scompiglio. Il cda si spacca e la consigliera d’amministrazione Luisa Todini, spedita a suo tempo alla Rai dal Pdl ma poi nominata dall’attuale governo presidente delle Poste, molto contrariata dall’esito della seduta si dimette. Da tempo era stata invitata, anche dal Pd renziano, a risolvere l’imbarazzo del suo doppio incarico (lei si era definita «multitasking», dunque immune al problema), aveva poi annunciato dimissioni da viale Mazzini «entro l’autunno», ma è appunto il ricorso contro il governo a farle rompere gli indugi: «Ritenendo inaccettabile e irresponsabile la decisione del consiglio, ho ritenuto doveroso dissociarmi in modo definitivo».

Un altro consigliere nominato dal Pdl ma anche lui folgorato sulla via del renzismo, Antonio Pilati, vota contro l’ordine del giorno che impegna l’azienda a presentare ricorso al Tar, al giudice ordinario o a entrambi. Di Pilati, noto tra l’altro come ispiratore della legge Gasparri, recentemente si era parlato come possibile presidente Rai del Nazareno. «Leggenda metropolitana», aveva tagliato corto lui. Ma mai dire mai. E così il fronte dei variamente berlusconiani si spacca. Da una parte i nazareni renzizzati. Dall’altra il firmatario dell’ordine del giorno, Verro, un fedelissimo del Cavaliere che vanta con lui un antico sodalizio ed è un berlusconiano vecchia maniera. E dietro l’assalto alle casse della Rai (la legge di stabilità potrebbe aggiungere un ulteriore prelievo e si temono anche minori entrate con la riforma del canone) e il riassetto dell’informazione con l’accorpamento di testate, sente puzza di bruciato, aria di privatizzazione, ha detto lui. Insomma, un colpo al caro, vecchio equilibrio Raiset. A favore del ricorso votano anche l’ex An Rositani e i consiglieri cosiddetti della «società civile» Benedetta Tobagi e Gherardo Colombo, quelli (non) nominati da Bersani, che non voleva partecipare alla spartizione e invocava la riforma. E pure il centrista Rodolfo De Laurentiis e il consigliere indicato dal ministero dell’economia (si parla sempre dell’epoca Monti) Marco Pinto. Un voto, quest’ultimo, che fa imbufalire palazzo Chigi, perché si tratta del consigliere «istituzionale». E si astiene come «presidente di garanzia» Anna Maria Tarantola (e Renzi non gardisce). Mentre il direttore generale Luigi Gubitosi, dopo aver tentato di mediare durante la burrascosa riunione dil cda, fa sapere che per lui il ricorso è «inopportuno».

Il governo la prende appunto malissimo: «E’ un voto determinato da logiche politiche e personali. Sia ben chiaro che tutto questo non indebolisce, semmai rafforza, la volontà del governo di liberare la Rai dalle vecchie logiche», tuona il sottosegretario alle comunicazioni Antonio Giacomelli. Logiche personali perché il cda è in scadenza, si suppone. E il governo pensa ora di accelerare la riforma della governance. Il renziano Michele Anzaldi si domanda: ma come possono gli esponenti della società civile (i non-nominati da Bersani, insomma) votare contro un taglio determinato dalla «più grande opera di redistribuzione degli ultimi 10 anni»? E mentre Raiway debutta in borsa (con successo). «Un’azienda come la #Rai non può più funzionare così. Cambiamo la governance subito. Per salvarla e rilanciarla», twitta Matteo Orfini, già responsabile cultura e informazione con Bersani. E twitta l’attuale responsabile cultura del partito, Lorenza Bonaccorsi: «Tobagi e Colombo votano a favore. Contro il governo. Aspettiamo le loro dimissioni». A proposito di «vecchie logiche»…

Dal Pd si fa sapere che comunque alla Rai i 150 milioni saranno tagliati: «Il bilancio è fatto anche di trasferimenti dal governo: si potrà intervenire lì». Con il ricorso si schierano invece i forzisti del partito Raiset, al quale del resto è ancora affezionato il Cavaliere, che tra l’altro continua a temere le elezioni anticipate. Esulta così Gasparri: «Molto positivo che a proposta sia stata approvata per contrastare l’esproprio della Rai attuato da Renzi, gravissimo l’atteggiamento del dg che forse dovrebbe prendere atto di essere stato messo clamorosamente in minoranza. Saltare all’ultimo momento sul carro del vincitore potrebbe rivelarsi una scelta sbagliata». Insomma, mai dire Rai.