Nonostante il tentativo di Fdi di procedere alle nomine Rai prima della chiusura estiva del parlamento, lunedì si è deciso di rinviare la partita a settembre non essendo a portata di mano un accordo nella maggioranza. Il vertice ipotizzato per oggi a margine del consiglio dei ministri? «Ne hanno parlato solo i giornali, non lo abbiamo mai annunciato. Non è previsto nessun vertice, tant’è che non si vota adesso», taglia corto il forzista Antonio Tajani che non ha nessuna fretta di mettere la firma sotto un accordo che, per come si stanno mettendo le cose, a settembre rischia di saltare.

Nelle divisioni della destra (Fi punta alla presidenza del cda con Simona Agnes, Salvini rilancia rivendicando la casella della direzione generale) si incuneano infatti le opposizioni. Una mossa niente affatto scontata, essendo quello della Rai un terreno sul quale di solito ogni partito gioca per sé. E una mossa che potrebbe produrre risultati inaspettati. Unite, le opposizioni possono riuscire a formare una minoranza di blocco sulla nomina del o della presidente di viale Mazzini, che dopo il voto in cda deve ottenere in commissione di vigilanza il via libera da una maggioranza qualificata dei due terzi.

Da tempo è partita la caccia ai voti fuori dal recinto del centrodestra: ne servono 4 per arrivare a quota 28 (su 42). C’è il quasi sì dell’esponente delle Autonomie, ma il pressing forzista sulla ex azzurra e ora calendiana Maria Stella Gelmini ha prodotto al momento un buco nell’acqua; non pervenute Maria Elena Boschi e Dafne Musolino di Iv, con un Renzi attivissimo nella semina del campo largo. Anzi, le stesse Gelmini e Boschi firmano, insieme a Stefano Graziano del Pd, Dario Carotenuto del M5S, Angelo Bonelli e Giuseppe De Cristofaro di Avs, un appello «a tutte le forze politiche» affinché prima del rinnovo della governance si proceda a una riforma «nel solco del Media Freedom Act». Lo stesso Renzi, autore dell’ultima riforma dei vertici di viale Mazzini, si rimangia così la sua legge che rafforza la presa della politica – e in particolare proprio del governo – sul servizio pubblico radiotv. Quella legge, è scritto infatti nell’appello delle opposizioni, «con il via libera da parte del Parlamento europeo al Media Freedom Act appare superata e necessita di una riforma che vada nella direzione di recepire la legge europea». Obiettivo del Media Freedom Act, prosegue l’appello, «è quello di proteggere l’indipendenza dei media, dei giornalisti, e di vietare qualsiasi forma di ingerenza impropria da parte della politica o della economia nelle decisioni editoriali» e quindi se si nominasse il nuovo vertice Rai utilizzando la legge Renzi, entro agosto 2025 «comunque bisognerebbe procedere a una revisione imposta proprio dalla normativa approvata in sede comunitaria». Oltretutto per il 23 ottobre è anche attesa la pronuncia del Tar sul ricorso presentato da tre candidati al consiglio d’amministrazione contro l’attuale normativa sulla governance perché, appunto, andrebbe adeguata ai criteri previsti dal Media Freedom Act.

Fin qui quello delle opposizioni è un appello che tutta la maggioranza (per ora solo il forzista Rosso mette in guardia da «un inutile ostruzionismo che congelerebbe solo gli attuali vertici») rispedirà presumibilmente al mittente: il Media Freedom Act è stato approvato a marzo e non sembra che abbia impensierito Meloni e soci. Ma se il fronte delle opposizioni resterà serrato e non si aprirà una trattativa parallela su un altro nome «di garanzia», la prossima mossa, se si arriverà al dunque in commissione di vigilanza, sarà quella di disertare la seduta. Facendo mancare la maggioranza qualificata sulla presidenza. La data del 12 settembre fissata a palazzo Madama per nominare due componenti del cda (altri due li nomina la Camera, due il governo e uno l’assemblea dei dipendenti) sembra come minimo destinata a slittare. In autunno si vedrà fino a che punto il campo largo, ancorché tutto da costruire, riuscirà a disturbare le frequenze di TeleMeloni.