«La Rai non è una municipalizzata di provincia ma la prima industria culturale e non può sottostare a procedure cavillose chilometriche o avere l’incubo della Corte dei Conti». A viale Mazzini serve dunque un capo «che possa decidere», senza «architetture barocche o la creazione di qualche sofisticata ingegneria che complichi ancora di più le cose». E’ scritto nel documento, fatto circolare ieri, dal quale partirà il governo per la riforma della Rai targata, come è evidente dal testo, Matteo Renzi. Si parla di una «guida manageriale», ovvero l’amministratore delegato che dovrebbe essere nominato direttamente dal governo.

Alla vigilia del consiglio dei ministri di oggi pomeriggio, si sono svolte parecchie riunioni per definire le linee guida. In quella di martedì notte al Nazareno si è parlato anche di inserire un rappresentante dei lavoratori nel cda. Alla commissione di vigilanza resterebbe il potere di nomina, ma limitato rispetto a quello attuale. Sorprese anche sul fronte delle tre reti generaliste della Rai. Dall’incontro tra il premier-segretario e gli esponenti del Pd della vigilanza è venuta fuori questa proposta: la prima rete resterebbe generalista; una sarebbe dedicata a innovazione, sperimentazione e nuovi linguaggi; la terza, culturale, dovrebbe dire addio alla pubblicità.

Anche l’attuale membro del cda Rai Antonio Verro ieri ha detto la sua sulla riforma: «Se deve entrare solo il governo, molto meglio che restino i partiti». Il consigliere berlusconiano è stato ascoltato dalla vigilanza sul fax che – pubblicato dal Fatto – avrebbe inviato nel 2010 all’allora premier Berlusconi con l’elenco dei programmi sgraditi da addomesticare. Verro ha detto di non ricordare «modalità di redazione e trasmissione del fax», ma ha rivendicato: «Il contenuto è sicuramente mio. Cercavo di assicurare un minimo di pluralismo», del resto «nulla aggiunge e nulla toglie a quello che si trovava nelle mie dichiarazioni e di cui dibattevo ogni giorno con i dirigenti dell’epoca».