All’una di notte la vittoria smagliante di Virginia Raggi non fa quasi più notizia. E sì che è un terremoto, per la Capitale. Alle prime proiezioni la candidata a 5 stelle veleggia oltre il 36 per cento. I romani e le romane l’hanno praticamente plebiscitata, indifferenti al praticantato nello studio di Previti, alla proposta della funivia per evitare il traffico romano e a tutte le altre sue bizzarre proposte elettoriali.

Dietro di lei, la sfida per la sopravvivenza è durissima.

Bobo Giachetti, candidato del Pd, in un primo momento viene dato al ballottaggio dagli exit poll. Ma le prime proiezioni danno in avvicinamento, e a grandi passi, Giorgia Meloni, la candidata di Fratelli d’Italia e della Lega. Per un’ora il duello fra i due è una corsa sulle montagne russe.

Ad ogni cambio di decimale nel comitato della ex socia dell’ex sindaco Alemanno parte l’applauso. Da Porta a Porta il capogruppo Pd Rosato fa una dichiarazione che sa di ammissione della sconfitta: «I cittadini ci hanno fatto pagare il prezzo per il governo di Marino».

Dall’altra parte di Roma, allo Scalo San Lorenzo, il comitato Giachetti rispetta fino a notte fonda la consegna del silenzio.

Rotta solo da patetiche dichiarazioni di chi cerca di tirare su il morale della truppa, a dispetto dei numeri reali che i canali tv sgranano inesorabilmente, triste rosario. Come il renzianissimo Andrea Marcucci: «Ad ora il Pd ha vinto in centinaia di piccoli comuni ed è in gara nelle grandi città. Aspettiamo fiduciosi».

A notte fonda, Giachetti passa al secondo turno. Dal Nazareno il silenzio è tombale.

Se acciuffare per il rotto della cuffia il ballottaggio sarebbe una «non vittoria», velenosa citazione della formula con cui Renzi snobbò il risultato di Bersani alle politiche del 2013 che subito circola nella rete, mancare il secondo turno sarebbe stato un disastro totale per il presidente del consiglio, assai più che per il generoso candidato dem. Per Giachetti la distanza con la candidata a 5 stelle sembra comunque un abisso, un vuoto spalancato difficile da colmare.

Mentre si consuma la sfida per il secondo posto, però, uno sconfitto certo c’è ed è Berlusconi. Ha perso, e malamente: il suo (ultimo) candidato Alfio Marchini alle prime proiezioni non arriva al 10 per cento. Musi lunghi e delusione al suo comitato.

Ma per l’ex Cavaliere è molto più che una sconfitta: è la fine.

Ha scelto tardivamente Marchini scartando un Bertolaso già in corsa e sfasciando definitivamente il suo sempre più ristretto gruppo di fedelissimi. Il leghista Matteo Salvini ieri notte già esultava: «Dove c’è la Lega si va».

Sarà la resa di conti interni al centrodestra, con ogni probabilità, a decidere le sorti del ballottaggio. E non sarà un pranzo di gala, a stare alle prime dichiarazioni: «Marchini? Viene il sospetto che fosse proprio questo il compito di quella candidatura: allontanare Meloni dal secondo turno», ha sibilito il deputato di Fratelli d’Italia Fabio Rampelli.

La sinistra di Stefano Fassina si colloca verso il basso della classifica. Gli exit poll la danno tra il 3 e il 6 per cento, le prime proiezioni affilano il dato fra il 4 e il 5, 7.

Bisognerà aspettare i dati reali per le valutazioni sulla corsa solitaria delle sinistre nelle città. Non sono risultati lusinghieri, e anche se quella dell’ex viceministro Pd al momento risulta la migliore perfomance. Ma non sono arrivati gli sperati voti dei delusi del Pd; e forse non sono arrivati neanche tutti i voti della sinistra-sinistra.

Infine l’affluenza. Il 57,2 è il segnale di una piccola ripresa di partecipazione della città, nonostante Mafia Capitale, nonostante la defenestrazione di Marino, e nonostante candidati non precisamente trascinanti.

Alle comunali del 2013, quelle in cui vinse Marino, era andato al voto il 52,8 per cento dell’elettorato ed era stato il record negativo della storia della capitale, peggiorato di una manciata di voti delle Europee del 2014 (quelle in cui il Pd a livello nazionale prese il 40,8 per cento con il 58,7 per cento di votanti).