Si chiama Radio India e trasmette in diretta ogni giorno dal 3 aprile (dalle 17.00 alle 20.00, www.spreaker.it, in podcast www.spreaker.com, Spotify e sui canali online del Teatro di Roma.), più o meno cioè da quando è iniziato il lockdown. A idearla – e a curarne la programmazione – sono cinque compagnie teatrali, DOM, Fabio Condemi, Industria Indipendente, mk, Muta Imago unite dal desiderio di aprire nuove finestre di intervento da condividere con chi sta a casa.
Radio India nasce dunque da un incontro che all’origine rimanda a un altro progetto, quello di Oceano Indiano, il cantiere di residenze e di produzione del Teatro di Roma all’interno del Teatro India – curato da Francesca Corona – nel quale oltre a supportare la nascita di un nuovo spettacolo erano previste una serie di azioni creative all’interno dello spazio che lo ospitava. Con l’emergenza sanitaria tutto è saltato anche se come ci racconta al telefono Riccardo Fazi ideatore insieme a Claudia Sorace di Muta Imago, gli artisti coinvolti continuavano a sentirsi e a discutere tra di loro. «Però – aggiunge – nei primi giorni avevamo un po’ tutti preferito rimanere in silenzio di fronte all’esposizione mediatica di quello che veniva scritto e detto intorno a noi. Poi un giorno Francesca Corona ci ha chiamati chiedendoci di immaginare qualcosa per il pubblico del Teatro di Roma, per fargli sentire di essere presenti. Anche noi sentivamo di nuovo la necessità del mondo esterno, che poi appartiene agli artisti, ci siamo confrontati e così è nata l’idea della radio che ci sembrava in questa situazione il mezzo più adatto».

In che senso? Perché proprio la radio?

Per la sua caratteristica di intimità, la radio non è invasiva come i social network o l’informazione, è un medium che arriva vicino, che entra in casa ma in modo delicato e un po’ come il teatro permette una dimensione «dal vivo», di performance e può contenere più linguaggi, la musica, la parola, il suono.

Quali sono state le priorità che vi siete dati?

Abbiamo organizzato una redazione utilizzando zoom per le riunioni, ne abbiamo fatte e ne facciamo moltissime. Ci è sembrato importante che la programmazione fosse quotidiana, che il palinsesto fosse organizzato in modo da rispondere a questo tempo che stiamo vivendo in cui le nostre relazioni hanno una dimensione diversa e le abitudini della quotidianità sono schiacciate sul presente. Per questo era fondamentale confrontarci con quello che sta accadendo anche se in modo diagonale, non diretto, ciascuno con le proprie riflessioni e le proprie attitudini. Abbiamo cercato di assecondare le nostre diverse identità artistiche ma su un terreno comune. Per farti degli esempi: Fabio Condemi cura Specie di spazi, una rubrica in cui esplora come cambia il rapporto con lo spazio esterno; noi ispirandoci a 4:33 di Cage abbiamo una rubrica che propone ogni giorno delle registrazioni mandate dagli ascoltatori coi suoni della città deserta vicino alle loro case. Daria Deflorian ogni venerdì conduce Persone, delle chiacchierate con amici o compagni di lavoro che si svolgono come se fossero a casa a parlare di sogni e di desideri. DOM- e Arianna Lodeserto con Nausicaa . Vivere tra le rovine, ogni mercoledì costruiscono approfondimenti, set musicali, audiopaesaggi, conversazioni con scienziati e ricercatori, per parlare di ecologia, micologia, botanica, politica e assemblaggi tra arti, scienza e attivismi. Michele Di Stefano con Vancouver, ogni lunedì offre una playlist tematica (itinerari di viaggio, musiche per la scena) affiancata da testi e divagazioni; con Record, ogni giovedì, interviste ad artisti su ipotetici nuovi dischi, di cui raccontano creazione, copertina, brani. Volevamo un palinsesto caldo e soprattutto volevamo andare in onda live. Sulla piattaforma si trova la programmazione del giorno e i podcast di quelli precedenti, la maggior parte degli interventi sono in diretta, solo alcuni vengono preregistrati. Carichiamo singolarmente ogni programma e l’intero palinsesto della giornata, è un lavoro che ci assorbe interamente.

In che modo vengono decisi i temi della programmazione?

Abbiamo lavorato insieme la prima settimana per creare appunto una «piattaforma» comune. Questa era già la caratteristica di Oceano Indiano all’interno del quale oltre al lavoro sullo spettacolo dovevamo creare degli interventi sui luoghi – tra l’altro noi avevamo pensato a una radio che registrasse quanto accadeva a India col pubblico. Ogni compagnia ha poi seguito la propria proposta. La cifra di un lavoro «aperto» è quella che caratterizza Oceano Indiano, per questo abbiamo invitato altri artisti che non erano nella residenza coi quali abbiamo affinità, come Daria Deflorian o Silvia Calderoni che cura un oroscopo settimanale. Al di là delle singole proposte penso che in questo momento sia fondamentale accedere alla cultura. Non sappiamo quando e come finirà tutto questo, ma ci aspetta una lunga fase di transizione tra il mondo come era prima e quello futuro e quando finirà non è nemmeno detto che tutto sarà di nuovo uguale. Non sappiamo se i teatri riapriranno, se ci saranno i festival e in che modo potranno funzionare le attività dal vivo, e questo richiede agli artisti e alle istituzioni uno sforzo di immaginazione per creare delle alternative. Magari alcune verranno messe da parte altre resteranno, chissà.

E della possibilità di fare teatro in streaming cosa ne pensi?

Non credo che sia concepibile perché il teatro ha un aspetto di condivisione che è sostanziale. Per questo abbiamo scelto la radio.