Politica

Rachid, dalla strada alla laurea in ingegneria

Torino Mentre vendeva accendini continuava a studiare. «Da oggi riprendo a fare il marocchino»

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 8 ottobre 2013

La tesi in mano e i suoi fratelli a lato. Sorriso e clic! La foto, non è una qualsiasi. In posa, Rachid Khadiri Abdelmoula, 26 anni, festeggia la sua laurea in ingegneria civile al Politecnico di Torino. Sono passati 15 anni da quando partì dal Marocco alla volta dell’Italia. Arrivò a Torino, dove già vivevano i suoi fratelli maggiori, Said e Abdul. E con loro è cresciuto in quel reticolo di strade che si incrociano tra la Mole Antonelliana e Palazzo Nuovo, sede delle facoltà umanistiche. Qui, ha venduto migliaia di fazzoletti, accendini e sciarpe, conosciuto studenti, docenti e amici. Da oggi pomeriggio riprenderà «a fare il marocchino». Dice proprio così, ridendo con ironia. «Ma voglio trovare un lavoro più affine ai miei studi. E non escludo un giorno di tornare in Marocco. Ora, la priorità è comunque il lavoro. E prendere la laurea magistrale». Ieri mattina, Rachid, ha discusso una tesi su «Il grafene e le sue potenzialità applicative»: «È un materiale nuovo – racconta – rivoluzionario e termodinamicamente stabile. La sua scoperta è valsa a due scienziati il premio Nobel per la fisica nel 2010». Aveva 11 anni quando arrivò a Torino. «A casa, a Marrakech, non vedevo l’ora di partire. L’impatto non è stato troppo difficoltoso, forse perché non ero solo. C’erano già i miei fratelli. Certo, anche per me ci sono stati ostacoli da superare, la lingua prima di tutto e, poi, i problemi economici. Soprattutto, venivo catapultato in un mondo nuovo. Sono stati anni di sacrifici. Oggi, mi sento più leggero». Said, il fratello, è una piccola istituzione a Torino, dove giunse a 14 anni, nel 1991. Venditore ambulante, solo vent’anni dopo il suo arrivo ha ottenuto la cittadinanza italiana, nonostante oltre alla lingua, abbia imparato anche il dialetto piemontese: «Cerea madamin, a cata cheicòs?», pronuncia come nemmeno Macario avrebbe saputo fare. Rachid era il più piccolo e timido della famiglia, con il cappuccio del parka sempre in testa. In Italia, ha frequentato le scuole, i pomeriggi li ha trascorsi davanti a Palazzo Nuovo a vendere fazzoletti e a chiacchierare con gli studenti universitari e i docenti. «Avere tanti amici italiani mi ha fatto crescere. Mi hanno sostenuto e incoraggiato». Mentre vendeva accendini, continuava a studiare. In pochi, lo sapevano. Il suo sogno era laurearsi: «Ingegnere? Perché ci sono più sbocchi lavorativi» precisa con senso pragmatico.
«È un eroe dei nostri giorni» dicono gli amici. È una storia di diritto allo studio: «È sempre meno tutelato, i tagli hanno ridotto le borse ai minimi termini». Rachid ha chiaro il senso della parola integrazione: «Significa poter vivere la propria vita al 100 per cento. Lampedusa è, oggi, una brutta storia; ci insegna che le persone che vogliono migliorare la propria vita, proveranno sempre a farlo a rischio della pelle».

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