Racconto geometrico di una separazione
Intervista Conversazione con Amir Reza Koohestani che ha presentato al Festival teatrale di Santarcangelo, «Timeloss», la fine di una storia d’amore nel gioco di specchi tra passato e presente
Intervista Conversazione con Amir Reza Koohestani che ha presentato al Festival teatrale di Santarcangelo, «Timeloss», la fine di una storia d’amore nel gioco di specchi tra passato e presente
Il vero messaggio politico dello spettacolo è non avere un messaggio politico!» è la dichiarazione forte e determinata del regista iraniano Amir Reza Koohestani, classe 1978, ospite del festival internazionale del teatro di Santarcangelo, con l’anteprima nazionale del suo ultimo e intenso lavoro Timeloss. «Non voglio essere ambasciatore del mio paese, il problema è che gli europei, o meglio i non iraniani, vorrebbero che mostrassi immagini dell’Iran che non si vedono altrove. Lo stesso vorrebbero gli iraniani. Sento la pressione di una doppia aspettativa. Spesso molti curatori e direttori di festival vorrebbero produzioni che confermassero gli stereotipi su alcuni temi che riguardano i paesi mediorientali. Se una produzione tratta la questione del fondamentalismo o della censura è più facilmente ben accolta. Non è il caso di questo festival che ha invitato Timeloss anche se non fa riferimento a nessun messaggio politico, ma mostra uno spaccato di vita comune».
Lo spettacolo vede sul palco due attori, una ex coppia che a distanza di dodici anni si incontra negli studi per doppiare una precedente produzione in cui metteva in scena la crisi del proprio rapporto. Un gioco di specchi e rimandi in cui presente e passato, realtà e finzione si confondono.
Il passato entra nel presente, la distanza fra i due protagonisti oltre che psicologica ed esistenziale è anche fisica. Sembrano due punti con al centro il vuoto. Ognuno dei due è seduto ad un tavolo, la donna rivolge la spalle all’uomo, i loro sguardi non si incrociano mai se non nel riflesso che restituisce il vetro degli schermi che hanno di fronte in cui vedono scorrere le immagini dello spettacolo che stanno doppiando.
Una continua alternanza di vuoti e silenzi, battute e schermaglie. Questioni irrisolte che irrompono dopo anni con tutta la loro forza mettendo di nuovo in discussione le ragioni di quella dolorosa separazione. Colpe e fraintendimenti, incomprensioni e desiderio di rompere quella distanza emotiva ormai incolmabile. Il tutto inserito in una rappresentazione che sembra frutto di un’architettura geometrica, lineare, rigida, chiusa in un confine invalicabile.
Alle spalle degli attori il pubblico vede scorrere le immagini del precedente spettacolo di Koohestani, Dance on Glasses del 2003, che lo ha fatto rivelato a livello internazionale. A queste scene seguono quelle di una produzione più recente con una giovane coppia che interpreta i due personaggi da giovani. «Dance on Glasses si svolgeva attorno ad un tavolo molto lungo, la coppia era seduta di fronte a oltre quattro metri di distanza – racconta Koohestani – Chiudendo gli occhi e ascoltando si poteva pensare che parlassero mentre erano a letto o in una situazione molto intima, quando invece si realizzava che erano così lontani, la distanza fisica creava un’incredibile frattura fra quello che si sentiva e ciò che si vedeva.In Timeloss, una sorta di adattamento riscritto nel 2013, abbiamo estremizzato ancora di più: ci sono due tavoli diversi, del tutto separati, i protagonisti guardano il pubblico circondati da una luce quadrata come se fossero alieni che vivono su due isole diverse senza mai guardarsi. La rappresentazione è totalmente statica, senza nessun movimento, un’immagine fissa che ricorda il teatro di Beckett. A tutto questo c’è una spiegazione pratica, stanno doppiando dei dialoghi e non possono muoversi come il loro sguardo non può distogliersi dai video. Gli schermi alle loro spalle sono un esercizio di memoria, mentre il loro stare sul palco ci mostra il presente. L’aspetto più interessante è che l’uomo rimprovera alla donna di non voltarsi a guardarlo. La ragione per cui non lo fa è che è davanti a lui che è nel passato mentre lei guarda avanti. Per questo nell’epilogo si cita il mito greco di Orfeo ed Euridice».
Il regista è presente nella pièce con la sua voce, commenta il lavoro degli attori-doppiatori, esprime le sue perplessità e il suo disappunto perché li crede incapaci di imitare i sentimenti e il pathos di quegli anni. Le emozioni sono inevitabilmente cambiate e il lavoro rischia di non sembrare autentico. Dance on Glasses, di cui Timeloss è un’evoluzione, è lo spettacolo che a distanza di più di dieci anni ancora gli veniva richiesto: «Abbiamo smesso di portarlo in scena nel 2007 ma dopo varie imitazioni ho pensato di riproporlo in maniera diversa, per rispondere alle continue richieste. Non potevo più farlo come dieci anni prima. Ecco perché al centro della scena di Timeloss c’è una coppia di mezza età al posto di una di circa vent’anni, la mia età dell’epoca. C’è molto di me, è in parte autobiografico nel riflesso di una brutta separazione che ho vissuto in prima persona. Ora è il risultato degli effetti del tempo sulle mie attuali esperienze e relazioni più mature. Avrei voluto fare questo lavoro con gli stessi attori dell’epoca, ma i protagonisti hanno interrotto la loro carriera. Con l’attuale compagnia (il Mehr Theatre Group, ndr) lavoriamo insieme da molto tempo, ci conosciamo bene. La prima di Timeloss è stata nel 2013 a Ginevra, avevamo avuto solo un mese e mezzo per le prove e per alcuni problemi economici non avevamo tutta l’attrezzatura video necessaria. Il lavoro è stato difficile, per questo è stato fondamentale avere in scena attori con cui ho una grande empatia. Con Hassan (il protagonista maschile di Timeloss Mohmmadhassan Madjooni, ndr) ho realizzato cinque produzioni, questo ha reso il processo molto più facile».
Per tornare sulla questione politica Koohestani aggiunge: «Il punto è cosa intendiamo per messaggio politico. Per me politica non è parlare del governo». E cita un aneddoto: «Ricordo che dopo una prima di Timeloss nella Svizzera italiana uscì un articolo in cui il giornalista scriveva:’bello spettacolo, bravo regista, ma perché raccontare di una coppia visto che vive in un paese in cui ci sono questioni molto più serie di cui occuparsi?’. Quello che mi chiedo a mia volta è come un non iraniano possa dire quali siano le questioni di cui dovrei occuparmi. Ritengo che già questa sia un’interessante discussione politica. Io preferisco rivolgermi al pubblico ponendo domande a cui io stesso non so dare risposte. In questo lavoro il quesito è centrato su quali sono gli effetti del tempo nelle relazioni personali, come viverle, e come possano influenzare le storie attuali. Credo che fare arte sia anche affrontare le proprie istanze personali e trasmetterle al pubblico per capire se ci sono risposte».
Quello di Koohestani a Santarcangelo è un gradito ritorno dopo dieci anni, quando presentò Amid the clouds. L’autore ha raccontato di come il suo spettacolo di successo Dance on Glasses sia nato quasi per caso mentre era ancora studente di ingegneria. A un festival il suo spettacolo venne notato e da lì cominciò a dedicarsi al teatro mettendo da parte la carriera d’ingegnere. Nel 2012 insieme a Mani Haghighi ha scritto la sceneggiatura del film Modest Reception.
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