Nella contrapposizione storica e di passaggio da un decennio all’altro, dagli anni sessanta ai settanta del secolo scorso, pur nella sua tragica interruzione di mezzo, ma quanto carica di posterità, Pier Paolo Pasolini sembra aver rivolto i suoi maggiori sforzi alle forme brevi. In tal indirizzo la sua produzione più evidente si è orientata non già alla narrativa, ma all’apertura di un cantiere direttamente costruito sulla realtà quotidiana del suo tempo e affidata ai corsivi pubblicati sulle pagine del Corriere della Sera, ora raccolti per la maggior parte in Scritti corsari e nelle postume Lettere Luterane. Eppure, se l’attività pubblicistica è da molta critica considerata come la parte migliore della sua disperata e vitale opera, bulimica per quantità e così oggi necessaria per qualità di lettura, non si deve dimenticare che la notorietà a Pasolini fu data soprattutto dal cinema e dai suoi film che proprio all’inizio del decennio a lui fatale gli fece conoscere anche un successo spropositato di pubblico. Un periodo in cui a farla da padrone nel suo pensiero per immagini erano le grandi narrazioni «a pezzi» del passato, soprattutto letterario, cominciate con la «trilogia della vita» e poi con il primo, purtroppo unico e definitivamente postumo, pannello «della morte»: dal Decameron a Salò. Ed è un’indagine quotidiana quella che compie il regista nel corpo stesso della letteratura, spiazzata geograficamente in un atlante di opere capitali per l’Occidente come per l’Oriente (Il Decamerone di Boccaccio, I racconti di Canterbury di Chaucer, Le mille e una notte e per finire «il ritorno al presente» oscuro e terribile de Le 120 giornate di Sodoma di De Sade) chiuso in un tentativo di dare voce ad una pluralità di soggetti che in quel torno di anni chiedevano sempre più forte presenza nella società, non rappresentata soltanto dalla gioventù, peraltro aspramente criticata in una celebre invettiva poetica dal titolo «Il Pci ai giovani». D’altronde egli stesso era «una forza del passato» come recita Orson Welles. Infatti, leggendo il medaglione dedicatogli nei «ritratti italiani» da Alberto Arbasino colpisce una frase a proposito degli anni cinquanta, dunque percorrendo a ritroso gli inizi della sua attività pubblica, quelli del confronto serrato, divisivo, con la società intellettuale del tempo: «un ridicolo decennio», è questo un libro di «racconti da farsi» che ho in mente (e che non farò)». Al contrario quel libro lo realizzò, però per immagini e per tutti gli anni sessanta come prova generale dei grandi film del decennio successivo. Infatti cosa sono i film ad episodi chiusi nel fiammeggiante, riformatore e contestatario quinquennio 1963-69, di cui diamo una parziale ricognizione con La ricotta (forse, il suo capolavoro) e l’espunto episodio da Uccellacci e uccellini di Totò al circo, se non, come si evince dalla presenza in selezione dei commenti raccolti sul set di Salò da Gideon Bachmann, il corrispettivo creativo e critico, enragé, di uno scrittore dai molteplici talenti messi a dura prova dal suo spiccato e isolato autodafé intellettuale?
*Autore di «Pasolini sconosciuto» (Falsopiano 2008). Questo suo brano è contenuto nel catalogo online della quinta edizione del Ca’ Foscari Short Film Festival, Venezia 18-l 21 marzo e presenta lo speciale «Racconti scellerati. Pasolini a episodi» con La ricotta, 1963 35′, episodio di Ro.Go.Pa.G, Pier Paolo Pasolini, Totò al Circo, 1966 8′, episodio tagliato da Uccellacci e Uccellini, Pier Paolo Pasolini, «Pier Paolo Pasolini: l’intervista sotto l’albero», 1975 10′, Gideon Bachmann, Salò, l’ultimo film di Pier Paolo Pasolini, 2005 9′, Riccardo Costantini da materiali fotografici e sonori di Deborah Beer e Gideon Bachmann