Il tempo sta per scadere. E tuttavia non è detto che il vertice del centrodestra convocato per domani a casa di Silvio, Villa Grande, risolva l’enigma con una scelta ufficiale: o la candidatura o la rinuncia di Berlusconi. Questione di tattica: meglio attendere che a pronunciarsi sia prima l’assemblea del Pd di sabato. Ma il quadro è già chiaro. La Lega e Giovanni Toti hanno preparato ieri il terreno mettendo in chiaro un paio di particolari essenziali. Lo fa Matteo Salvini, in conferenza stampa, disinnescando quella minaccia di crisi in caso di elezione di Mario Draghi messa sul tavolo dal leader azzurro: «La Lega non ha nessuna exit strategy dal governo. Pensiamo al contrario che vada rafforzato chiunque sia il premier. La scelta più lineare sarebbe Draghi ma la nostra proposta è valida comunque». La proposta in questione è stata messa a punto dal leader leghista con Matteo Renzi, il primo a parlarne. Trattasi di un governo con tutti i leader di maggioranza dentro: «Un anno di campagna elettorale può diventare un problema per il consiglio dei ministri. Se al governo ci sono i massimi vertici è una garanzia che si lavori».

IL «GOVERNO DEI LEADER» è una chimera. Il Pd lo boccia accusando il proponente di voler «buttare la palla in tribuna». La Lega battibecca contro il Pd «che dice sempre no». Ma i segnali lanciati da Salvini sono altri. Dicono a Berlusconi che la Lega può appoggiarlo, ma senza spalleggiare il ricatto sulla crisi. Dicono anche che la Lega preferirebbe evitare l’ascesa di Draghi al Quirinale, ma le porte non sono blindate. Del resto segnali identici arrivano anche da altre sponde. Il capogruppo leghista alla Camera Riccardo Molinari è esplicito: «Se Berlusconi scende in campo non può che avere il sostegno leale della Lega. Ma non è un mistero che sia un candidato divisivo. Magari ci sono altri nomi del centrodestra che potrebbero avere più facilmente dei voti». Toti, dopo un incontro tra i vertici della sua Coraggio Italia e Salvini, promette sostegno al Cavaliere, «purché abbia chances di non schiantarsi». Ma di crisi ove invece l’alta carica spettasse a Draghi non se ne parla: «Se va al Colle il governo va avanti lo stesso. Mica è l’unico che possa fare il premier».

LA DISPOSIZIONE della scacchiera a destra è dunque definita. Domani o tra pochi giorni i leader cercheranno di spingere Silvio Berlusconi al ritiro, però non direttamente, senza negargli il sostegno. Insisteranno perché chiarisca se ritiene di avere i voti necessari per farcela, anche tenendo conto degli inevitabili franchi tiratori. Tutti sperano che il pretendente si rassegni, e a quel punto si aprirebbe la vera trattativa con il Pd che spingerà su Draghi. Non è un esito impossibile ma molto improbabile sì. Ieri Salvini e Berlusconi hanno affrontato la questione e il Cavaliere avrebbe insistito sulla necessità di difendere prima di tutto l’unità della coalizione: «Non possiamo sprecare questa occasione di dire la nostra». Formula bizantina che suona come conferma della candidatura.

SE NEL VERTICE Berlusconi insisterà e fornirà informazioni convincenti sull’esito della campagna acquisti, nella quale è impegnato da settimane, gli alleati non potranno che mandarlo allo sbaraglio, sperando che a chiudere i conti sia il voto segreto. Con un avvertimento preciso e ultimativo: «King sì, se hai i voti. Kingmaker no». Significa che se Berlusconi «si schianterà» come paventa Toti la partita per lui sarà chiusa. Nessuna possibilità di porre condizioni, nessun diritto di indicare lui un nome alternativo. O presidente o fuori gioco.

Senza cavalleresco passo indietro, il momento della verità arriverà alla quarta votazione, il 27 gennaio. Nelle prime tre tutti voteranno candidati di bandiera o si asterranno. Nella quarta quasi certamente il centrosinistra non parteciperà al voto, temendo brutte sorprese da parte della mandria pentastellata. Quindi il verdetto sarà nelle mani dei grandi elettori. Al termine dell’ordalia o Silvio Berlusconi sarà il tredicesimo presidente della Repubblica oppure la partita sarà tra chi vuole Draghi, come Enrico Letta ma anche il leghista Giancarlo Giorgetti e tra i 5S Luigi Di Maio, e chi punta invece su un presidente non indigeribile come re Silvio ma pur sempre con una vistosa targa con inciso «centrodestra».

Errata Corrige

«Rafforzare il governo chiunque sia il premier». Salvini si smarca dal ricatto di Berlusconi («o resta Draghi o è crisi») e dalla destra parte il pressing perché il leader di Fi si ritiri dalla corsa al Colle. Il Cavaliere per ora resiste. Domani primo round tra gli alleati. In Sicilia il governatore Musumeci, sgambettato nel voto sui delegati regionali, azzera la giunta