Renzo e Lucia non ritardarono il loro matrimonio perché glielo impedì la tremenda peste in corso all’epoca, ma quel bullaccio di Don Rodrigo che mandò loro a dire «Questo matrimonio non s’ha da fare». Oggi c’è un’altra pandemia e di nuovo molti Renzo e Lucia non si sposano, ma questa volta per loro scelta.

Sono 17mila i matrimoni rimandati fra marzo e aprile e si pensa che 50mila salteranno fra maggio e giugno se si dovrà rinunciare alla festa. Senza trionfale ingresso in chiesa fra ali di parenti e amici, baci con questo e quello, foto di rito, riso in faccia, buffet, balli, tutte le diavolerie che riescono a inventarsi i wedding planner e, per di più, l’obbligo di mascherina sull’abito da sposa, tanta gente non ha più voglia di sposarsi.

In conseguenza di tutto ciò, l’industria dello sposalizio è andata in crisi. Non è cosa da poco visto che vale 40 miliardi di euro l’anno, che si stima ne perda 26 a cui aggiungere 500 milioni per il crollo della wedding destination (non rispondo in prima persona di tale definizione), che poi sarebbero gli stranieri che vengono a sposarsi da noi.

È di pochi giorni fa la lettera inviata a presidenti di Repubblica, Consiglio e Regioni da Umberto Sciacca (imprenditore di abiti da sposa) e Barbara Mirabella (manager di Expò Catania) a nome di 3.200 operatori italiani del settore. La missiva è un grido di dolore che chiede date certe per la riapertura dei festeggiamenti, finanziamenti a fondo perduto causa crollo degli incassi, sospensione per un anno di contributi sugli stipendi dei dipendenti, cassa integrazione per i lavoratori stagionali.

Nella lettera ci sono anche molti suggerimenti su quello che si potrebbe fare per non perdere la stagione estiva garantendo norme di sicurezza e matrimoni ugualmente coi fiocchi, ovvero fuochi d’artificio, servizio a tavoli di 4 anziché 8 persone e all’aperto, niente buffet. Presidente Conte, lei che è così sensibile ai «congiunti», pensi agli sposi frementi e a tutto l’annesso e connesso fin qui non nominato, ovvero fioristi, gioiellieri e mobilieri. Aggiungerei anche i bombonieristi.