La libertà di essere se stessi nella bellezza delle relazioni ha attraversato la 33a edizione del Festival Bolzano Danza, diretta da Emanuele Masi sotto il titolo Link, legato al tema dell’identità. L’americano Richard Siegal insieme al suo Ballet of Difference ha aperto il festival con il trittico My Generation, spettacolo che sostiene il diritto di aderire al gender al quale ognuno sente di appartenere nonché di lasciare vibrare la formazione culturale ed estetica dei danzatori nelle sfumature dell’interpretazione. Così in BOD – titolo manifesto della compagnia – la differenza è espressa nella voracità sfavillante dei protagonisti: saettano sulla musica etnica-elettronica di DJ Haram nei colorati costumi gonfiabili di Becca McCharen, la loro è una tecnica classico-accademica elettrizzata da off balance, graffi hip-hop, atletismo, ritmo percussivo, luminosità giocosa della partnership. Ma la lotta per la differenza è anche percorso dolente negli Excerpts of a Future Work on the Subjects of Chelsea Manning, dove la storia transgender del soldato Bradley Manning, la consegna delle informazioni segrete a Wikileaks, il carcere, sono fonte per Siegal di un lavoro delicatissimo sul corpo in un dialogo a tre tra l’italiano Diego Tortelli, che tra l’altro firmerà a novembre al Comunale di Ferrara una sua Bella Addormentata per lo Junior Balletto di Toscana, Navarra Novy-Williams e Joaquim de Santana.

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Il provocatorio Olivier Dubois ha presentato in prima mondiale con il Ballet du Nord 7 x Rien, ovvero 7 per niente, perché non c’è nulla di grave e di così pericoloso. Il lavoro, stasera in replica al festival Civitanova Danza, ha come tema i sette peccati capitali, un gioco tra pareti gonfiabili e costumi di carta d’argento, in cui la gola è zucchero filato mangiato ghiottamente, la lussuria comica sensualità, l’invidia affermazione capricciosa. Lo spettacolo è pieno di belle idee, ma a nostro avviso è in progress verso la compiutezza. La riflessione sul libero arbitrio di cui vuol parlare Dubois anche ai più piccoli (lo spettacolo è ideato per adulti e bambini, dagli otto anni in su) può davvero arrivare? Il sì o il no, forse più che in noi, è nelle risposte al buffo questionario consegnato al pubblico all’inizio dello spettacolo. «Lo zucchero filato era buono?», «Ne prenderesti ancora?», «alla fin del conti, è un peccato così capitale?» Ci piacerebbe sapere cosa rispondono i bambini.

Altre battaglie animano un altro lavoro clou del festival: Le surréalisme au service de la révolution del catalano Marcos Morau Dukowshka, artista di spicco, fondatore della compagnia La Veronal attiva in una ricerca tra teatro, cinema, fotografia, letteratura. Lo spettacolo nasce per il Ballet de Lorraine, compagnia francese diretta dallo svedese Peter Jacobsson. Moreau firma un visionario pezzo politico immerso in un bianco lattiginoso e dedicato a Luis Buñuel. Si apre con una donna appesa a due anelli: recita una litania che rivisita Le Beatitudini Evangeliche, con tra i beati i perseguitati dalle dittature. Nella seconda scena un ensemble maschile e femminile è sospeso in una collettiva beatitudine prima del finale di battaglia, un inno alla rivoluzione, con il percussionista Gregory Terendij alla guida dei danzatori con in testa il cappello delle Processioni dei Penitenti: un quadro sonoro di grande potenza, perché il tamburo – come diceva Buñuel – «fa tremare la terra sotto i nostri piedi».

Con Three Times Rebel Marina Mascarell, spagnola residente in Olanda, impegnata da sempre su questioni sociali, affronta invece la visione della donna, ancora da difendere oggi, basti pensare al femminicidio dilagante. Un pezzo il cui maggiore punto di forza è l’invenzione scenica di Ludmila Rodrigues, strutture metalliche spostate dai danzatori che le trasformano in prigioni, gabbie, altalene dove mettere in atto la manipolazione del corpo femminile.

Difficile però superare in magnetismo la forza tout court della coreografia, quando alta è la sua identità: ed ecco allora Fabrications, del 1985, di Merce Cunningham, secondo titolo presentato dal Ballet de Lorraine, e A Love Supreme di Salva Sanchis e Anne Teresa De Keersmaeker, con Rosas, pezzo del 2005, rimontato quest’anno per un quartetto maschile in occasione dei cinquant’anni di John Coltrane: una meraviglia tra danza e musica in cui svetta, sorprendente, la voce della coreografia.

Tra i formati più brevi plauso alla compagnia Kor’sia, fondata a Madrid nel 2012 da Giuseppe Dagostino, Antonio di Rosa e Mattia Russo, al festival con il duetto maschile Yellow Place, gustosa riflessione sulla coppia che conferma il guizzo creativo dell’ensemble già apprezzato al Comunale di Modena per Cul de sac, e una nota all’installazione CAB008 di Cristina Kristal Rizzo al Cubo Garutti con la pregnante Annamaria Ajmone.