Alla fine degli anni ’90 del Novecento si è assistito all’esplicita messa in soffitta di quel che restava della socialdemocrazia europea. Il New Labour di Tony Blair, il nuovo centro di Gerhard Schröder, l’internazionale di centro-sinistra teorizzata da Walter Veltroni e l’Ulivo di Romano Prodi, il più sofferto ripiegamento di Lionel Jospin, quello del portoghese Antonio Guterres e di altri pseudo-eredi del socialismo rappresentarono altrettante rese ad un neoliberismo ormai imperante e chiuso ad effettive riforme sociali.

Cadeva così ogni speranza delle classi lavoratrici in trasformazioni, anche parziali, del sistema dominante. Mentre si arrestava l’ascensore sociale anche per gran parte dei ceti medi.
Delocalizzazione produttiva in paesi a basso costo del lavoro, automazione spinta della produzione, accompagnata da riduzione, intercambiabilità e precarizzazione della manodopera, finanziarizzazione del capitale sono stati gli assi portanti della ristrutturazione tardo capitalista. Ristrutturazione che ha provocato un ulteriore spostamento dei rapporti di forza tra capitale e lavoro a sproporzionato vantaggio del primo.

Lavoratori sempre più privi di potere contrattuale e sindacati ridotti alla difensiva hanno subìto una crescente pressione al ribasso delle condizioni di lavoro e di vita.
La storia, anche recente, insegna che in una situazione di malessere sociale montante e in assenza di alternative, nella popolazione si verificano fenomeni di disorientamento politico e sfiducia nelle istituzioni. Fenomeni che finiscono col favorire la facile demagogia e le false sicurezze dei partiti di destra.

Ciò spiega il sempre più netto prevalere di governi di destra e centro-destra nei Paesi dell’Unione europea: Polonia, Ungheria, Olanda, Lettonia, Slovacchia, Croazia, Grecia, cui si sono aggiunti Italia, Svezia, Finlandia. Contemporaneamente nei governi di coalizione in Danimarca, Irlanda, Lettonia, Estonia, Belgio, Austria, Repubblica Ceca, Bulgaria, Romania, il peso delle formazioni di destra è andato via via crescendo. Anche all’interno della coalizione al potere in Germania si verificano condizionamenti e slittamenti conservatori. Mentre ci vuole buona volontà per definire centrista la presidenza di Macron in Francia, dove si allunga l’ombra di Marine Le Pen. Le ultime elezioni hanno spostato ancora più a destra la situazione in Grecia e causato una cocente sconfitta della sinistra in Spagna. Alla fine, la sinistra è rimasta in piedi solo in Portogallo, Malta e Slovenia.

In realtà si tratta di governi nettamente al di sotto dei loro compiti istituzionali. Infatti sono ormai succubi di in blocco di potere economico, finanziario, tecno-militare dominante nei diversi contesti e che persegue un utile meramente contingente e parziale. Potere del tutto incurante delle alterazioni climatiche, degli squilibri demografici, delle divaricazioni sociali che produce e che incombono minacciosamente sul futuro prossimo delle popolazioni del Nord e del Sud del mondo. I governi, quanto più proni a tale subalternità, scambiano gli strumenti per i fini della loro azione. Restano abbarbicati ad un presente autoreferenziale. Ignorano o fingono d’ignorare i problemi che sono chiamati a risolvere. E per condursi così son disposti a ingannare i governati deviando le loro preoccupazioni verso falsi nemici, come i migranti, a indirizzare le loro aspettative verso identità inesistenti, come quelle di razza, nazione, a promuovere beni di consumo surrogatori dei bisogni sostanziali e più autentici.

Ma hanno un nemico: il maturare, specie tra i giovani, di una coscienza collettiva man mano più estesa, del loro malaffare.
La sfida è ora quella di decostruire il sistema imperante in maniera costruttiva, di accompagnare il suo ineludibile tramonto costruendo il nostro futuro.