I provvedimenti del Governo Meloni rispecchiano una volta di più il radicamento della destra italiana nell’autobiografia della nazione. A differenza dell’opposizione, in questi anni la destra ha posto in essere precise strategie di rinnovamento e cooptazione della sua classe dirigente, ha mantenuto un radicamento territoriale e ha individuato un blocco sociale di interessi economici da sostenere. Non bisogna, da questo punto di vista, credere che Fd’I debba il suo successo solo alla presenza mediatica della sua leader, alla disastrosa politica dell’opposizione o alla saldatura tra un sovranismo xenofobo e un liberismo straccione. Certo, un tratto unificante della “politica economica” del Governo Meloni è la trasformazione dei tratti negativi dell’economia italiana in indirizzo politico esplicito. Una “politica economica” che invece di combattere le zavorre del modello di sviluppo le assume come bussola e guida. Non ostacolare l’economia sommersa, ma facilitarla; non contrastare le posizioni di rendita e le filiere povere, ma farne una leva di “crescita”; non osteggiare il nanismo delle imprese e una via bassa alla competitività basata sulla compressione del costo del lavoro, ma favorirla opponendosi all’introduzione di un salario minimo decente.

A ciò si aggiunga il completamento della trasformazione del patrimonio naturalistico, storico e ambientale italiano in un luna-park a misura di una immaginaria famiglia americana che, come dichiarato dal Ministro Sangiuliano: “spende 10-20 mila euro per venire in Italia” e quindi può permettersi di visitare gli Uffizi pagando 20€. Le dichiarazione della Ministra Santanchè sul “turismo” vanno nella medesima direzione. Un modello “sud-americano” di sviluppo, ma senza le risorse naturali di quei Paesi. Una strategia che favorisce i profitti di breve periodo e che indebolirà la già malandata economia italiana. Un disegno che drenerà risorse dal finanziamento dei servizi pubblici e delle misure universalistiche finanziate dalla fiscalità generale. Anche per questo, sul fronte welfare, si procede a grandi passi verso lo smantellamento del servizio sanitario nazionale e in direzione di una ulteriore esternalizzazione dei servizi pubblici, come peraltro già previsto dal PNRR.

Anche l’autonomia differenziata – giustamente ribattezzata “spacca-Italia” – contribuirà ad acuire non solo i divari territoriali, ma spingerà al ricorso ai privati, come segnalato da Stefano Ungaro su Domani . Tolto il velo retorico della “nazione” come resoconto unificante, rimane una realtà fatta di valorizzazione delle rendite, corporativismo e anti-universalismo. Un progetto di Paese, questo il punto, che corrisponde agli interessi oggettivi della classe dirigente che Fratelli d’Italia ha saputo costruire in questi anni. Come emerge dal resoconto dell’Assemblea del Forum Diseguaglianze e Diversità, Giorgia Meloni ha vinto perché ha rimesso al centro la politica, ha presidiato l’organizzazione del partito e ha costruito con pazienza e continuità processi di cooptazione nei territori. Se è vero che FdI ha una classe dirigente nazionale debole dove la figura della leader è molto più che quella di una “prima tra pari”, così non è per i “quadri intermedi” che presidiano il consenso politico locale.

Qui troviamo tre rivoli principali: persone appartenenti alla “destra storica” e/o “extraparlamentare”, spesso con radici nelle organizzazioni studentesche, transfughi di Forza Italia e una schiera di Sindaci, Assessori e Consiglieri più giovani e quasi sempre appartenenti alla piccola e media borghesia dei servizi a basso valore aggiunto, tipicamente commercio ed edilizia. Ogni territorio, da questo punto di vista, ha le proprie specificità che andrebbero indagate a fondo. Si tratta sempre e comunque di persone ben attrezzate in termini di capitale politico, economico e sociale, che la vittoria elettorale converte in capacità di controllo della spesa pubblica e, quindi, in ulteriore opportunità di accumulazione del consenso.

Proprio per questo occorre affrancarsi dalla de-responsabilizzante narrazione che vorrebbe FdI una sorta di partito mediatico-personale che deve “tutto e solo” a Giorgia Meloni. FdI è un partito che si è preoccupato per tempo di costruire una classe dirigente locale, i cui interessi e priorità sono coerenti con le scelte di “politica economica” del Governo. Il rinnovamento della classe dirigente è la prima e più importante missione per garantire afflusso di energie nuove, per premiare ambizioni di carriera dei singoli e per intercettare i meccanismi del consenso locale. Lo si confronti con le attuali strategie di quella che dovrebbe essere l’opposizione e si avrà la misura del problema.