Parafrasando Gadda, quer pasticiaccio brutto di Casal Palocco contiene un ulteriore elemento di estrema gravità che poco è stato sinora evidenziato. Nell’informativa letta dal ministro degli Interni in senato si parla del «rimpatrio delle due donne kazake», omettendo, all’interno di questa formula burocratica, una verità scomoda: che una delle due «donne kazake» è in realtà una bambina di sei anni e che, dunque, per la Convenzione Onu sui Diritti dell’infanzia sottoscritta dall’Italia nel 1989 non era possibile in nessun caso espellerla. Tra gli obblighi derivanti al nostro paese da quella Convenzione questo dato emerge in modo chiarissimo. La Convenzione, infatti, prevede una serie di strumenti e dispositivi per ottemperare alla sua funzione principale che è quella del «maggior interesse del bambino». Detto altrimenti e con chiarezza, nessun equilibrismo istituzionale o politico può cancellare questo principio di civiltà giuridica, e dunque il diritto di questa bambina non solo a non essere espulsa dall’Italia ma ad essere attivamente protetta e tutelata.
Questo è il punto che non si chiude con una semplice informativa. Possibile che le forze di polizia non ne fossero consapevoli? Possibile che, pur nella situazione di estrema opacità della vicenda, nessuno si sia posto il problema? Possibile, ancora, che in nome di una governamentalità bipartisan, una violazione così grave e palese non abbia suscitato un’eco politica di pari livello?
Le responsabilità, a questo punto, sono di tutto il governo e del parlamento. Violare così palesemente una Convenzione internazionale, e giustificarlo con vaghi «non sapevo», o sottraendosi alle responsabilità che ne derivano, non aiuta in nulla l’Italia ad essere considerata un paese «affidabile». Le forze parlamentari, di maggioranza e di opposizione, il governo, dovrebbero sapere che non basta avere i conti economici a posto o una tripla A per potersi presentare «con i compiti fatti», a livello internazionale ed europeo; esiste anche una rating di altro tipo che viene dato ad una nazione dalle organizzazione per la difese dei diritti umani e che contribuisce non poco, anche se in modo diverso, alla serietà di un sistema paese.
Non sappiamo adesso cosa succederà alle «due donne kazake», né possiamo anticipare le mosse dei legali di parte. Ma una cosa è possibile dirla con certezza: se decidessero di aprire un procedimento legale presso la Corte dei Diritti dell’Uomo contro il nostro paese certamente vincerebbero.
Invitiamo dunque il governo e le forze parlamentari a non mettere la vicenda a tacere, a non derubricarla come l’ennesimo episodio di subalternità politica dell’Italia a potentati che possono agire sul nostro territorio servendosi delle sue forze dell’ordine, ma a seguire con attenzione questa oscura vicenda per mettere in essere tutte le prerogative di un paese democratico e di uno stato di diritto allo scopo di rendere a questa bambina, e a sua madre, la giustizia che le è dovuta.

* Presidente Terre Des Hommes