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Quello che non si dice

Quello che non si dice

FemmineFolli I romanzi di Elena Ferrante spiegano bene alcune cose delle relazioni tra donne che non vengono mai raccontate...

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 23 luglio 2015

Canicola. Quaranta gradi ovunque. Come ti muovi sudi. Eppure in città tutte le ragazze, spogliate o quasi, esibiscono i corpi con inequivocabile messaggio seduttivo: tutto sembra dire, prendimi, svestimi, mangiami che sono tua, la tua caramella, il tuo premio, il ghiacciolo alla fragola per rinfrescarti. Alcune sono bellissime statue, silhouette filiformi giacomettiane, esili e diafane come fantasmi sopra questa nuvola di calore.

Altre sfoggiano tatuaggi sulla loro pelle trasformata in tela umana, molti pesci, qualche uccello, carpe giapponesi dentro fiori di loto accanto a dragoni luminescenti: come le rappresentano questi ornamenti? fin dove le abbelliscono? quando le sovrastano? Durante l’estate si vede tutto, pregi e difetti sono comunisti, ce li abbiamo tutti, non mancano a nessuno, qui la distribuzione è stata equa, per una volta.

Al mare c’è di tutto: palestrate, inguinali, siliconate, pareo-munite, piercingate, disegnate, alcolizzate, panzettate e chi più ne ha più ne metta. Una gara all’ultimo sangue a chi è la più fica, la più desiderabile e desiderata. Un clima francamente insostenibile.
Al lago (Martignano forever, sulla costa «flautini e boghetti» come diceva un mio amico) è tutto più relax: qui viene accettata la cellulite, la cicatrice e le doppie punte. Visto l’elevato tasso stupefacente tutte si sorridono, si guardano la pelle con amore fraterno, accettano le smagliature altrui come fossero proprie. Il contrappasso della matrigna di Biancaneve.

In campagna le donne sono sul pezzo, all’erta, giovani e anziane, contadine e fornaie, scolarizzate analfabete incapaci a reggersi a galla senza aver mai visto il mare, compatte di fronte al comune nemico maschile, ma… ciccione. Perché tra colline valli prati e boschi si mangia, ci si annoia, si lavora, si mangia, ci si annoia e si ingrassa. In questo comune destino son tutte amiche, tutte complici nella comunanza della carne (tranne poche rarissime eccezioni).

Tuttavia, in generale, nel mondo, col gelo e con la bella stagione, le femmine si guardano come al Colosseo coi gladiatori, ti studiano le forme meglio che ad un esame di geometria, l’occhio vigile si fa giudice di Miss Italia, anche la tua migliore amica non si trattiene dal dirti: «Hai messo su qualche chiletto?». E la violenza è pronta a partire, a replicare caustica con accuse sempre più pesanti («tu non li hai mai persi»), la crudeltà è ormai affacciata sulla piazza pronta a sterminare innocenti peggio di un kamikaze. Qual è il perché di tanta competizione? L’uomo, è ovvio, l’altro stramaledetto sesso.
E allora vi dico, e qui non lo nego, la ragione per cui la quadrilogia (L’amica geniale, Storia del nuovo cognome, Storia di chi fugge e chi resta, Storia della bambina perduta) della Ferrante spacca: perché dice alcune cose delle relazioni femminili che di solito non si dicono (che non sono il tutto ma solo una sineddoche che, tuttavia, esiste).

La ferocia (così, en passant, citando il recente premio Strega), l’invidia, la rivalità tra donne nei quattro tomi, che raccontano le peripezie di una vita intera delle due amiche Lina e Lenù, sono esplicite, lì sul piatto in bella mostra, non edulcorate mai da dubbi o imbarazzi: il bene e il male sono presenti in ognuna di noi, vanno accettati, i rapporti ne traboccano da ogni orifizio e non si può che imparare a conviverci. L’amore, in questo caso quello amicale, si nutre di odio e viceversa. Per questo ci identifichiamo nell’una e nell’altra a seconda dell’umore giornaliero, per questo amiamo lo stesso uomo senza pudore, per tutta la vita, una contro l’altra, rivali in amore, in società, nella professione.

E la bilancia si sposta arbitrariamente da una parte o dall’altra senza raziocinio, senza motivo, così, solo perché le va…
Davanti all’inevitabilità di una vita tutta sulle spine non si può far altro che sorridere, godersi un bicchiere e guardare l’orizzonte con eleganza (udendo nella mente il mantra salvifico del nostro Super Ego: «sono io la più fica, yeah»).

Fabianasargentini@alice.it

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