Una dimensione oscura e inquietante per i cinque personaggi di Senza famiglia, tragicomico testo di Magdalena Barile che torna sul palcoscenico con la rilettura di Marco Lorenzi. Regista romano, trapiantato a Torino, dove, dopo la scuola dello Stabile, fonda nel 2009, con altri compagni di corso, Il mulino di Amleto. Ed è questa compagine che ha debuttato a Campo Teatrale (e dal 22 al 24 marzo sarà al Teatro Bellarte di Torino) con questa drammaturgia dark e surreale, ma radicata in quel gap creatosi tra la generazione delle lotte degli anni 70 e le successive progenie. La famiglia, riunita per il funerale della nonna, indefessa femminista e detentrice di una consapevolezza militante e perduta, se la vede resuscitare per indurre la figlia a una presa di coscienza, quando ormai la donna sguazza nel suo comico ruolo di casalinga cuciniera, servile a figli e marito, problematici e irrisolti i primi, insulso e superficiale il secondo, rinominato minus habens dall’energica nonna. Nella casa al mare avviene la tardiva educazione politica, mentre sbottano conflitti e ricatti psicologici, cattiverie e sdolcinati sentimentalismi.

LA NONNA (en travesti) è determinata a compiere la sua tardiva missione e pretende dalla figlia prove sempre più audaci e pericolose, in un crescendo grottesco che si trasforma in atto d’accusa pessimista e disincantato verso la generazione delle madri(padri), incapaci di trasmettere la densità del proprio vissuto. Con il capo talvolta coperto da maschere dal becco adunco, come medici della peste, ognuno sembra cercare una strada percorribile, il padre piglia pesci, i figli si disperano nella ricerca della propria identità e la madre, travisata la lezione della nonna, si lancia inebetita nell’orrore.