Con il successo di titoli come A Star Is Born e soprattutto Bohemian Rhapsody, il rock è tornato prepotentemente nel mondo del cinema. La rivoluzione del rock nacque proprio grazie al grande schermo. Era il 1955 e Rock Around the Clock di Bill Haley & His Comets accompagnò i titoli d’apertura del film Blackboard Jungle (uscito in Italia come Il seme della violenza), una pellicola diretta da Richard Brooks e dedicata all’incontro-scontro di un insegnate (Glenn Ford) con un gruppo di giovani turbolenti. Era il divario generazionale che stava alla base della rivoluzione alle porte. Il brano divenne la prima vera hit del nuovo genere musicale e nulla fu più come prima. Sia nel mondo della musica che in quello della settima arte. Nei quasi 65 anni successivi rock e cinema sono andati a braccetto, si sono ispirati a vicenda e hanno regalato diverse scene memorabili, immagini iconiche e spezzoni esilaranti. E allora ecco una rassegna dei momenti più significativi.
«IL DELINQUENTE DEL ROCK AND ROLL» (ELVIS PRESLEY «JAILHOUSE ROCK»), 1957
Elvis Presley aveva iniziato a incidere musica nel 1953 e nel 1956 aveva debuttato al cinema con il film western Love Me Tender. Ma il suo ruolo cinematografico più famoso e immortale è senza dubbio quello del rissoso bullo di Jailhouse Rock, un film diretto da Richard Thorpe, che cristallizzò l’immagine di Elvis come star ribelle e irresistibile. Il sogno di ogni adolescente e l’incubo di ogni genitore. Un manifesto dell’era rock che ha il suo momento musicale più famoso nella spettacolare esecuzione della titletrack, un vero e proprio segmento da videoclip ante litteram. Elvis, in divisa da carcerato, inscena un balletto con gli altri detenuti nel braccio del carcere intonando la canzone scritta da Jerry Leiber e Mike Stoller. Il singolo è una delle pietre miliari della musica pop e arrivò al vertice della classifica inglese e americana. Il cinema per Elvis fu croce e delizia. Aiutò a consacrare la sua fama a livello globale, ma spesso lo imprigionò in ruoli mediocri che lo sminuivano e diluivano il suo talento musicale in colonne sonore spesso usa e getta. Gli ancheggiamenti di quel frammento di Jailhouse Rock fanno parte della storia. Ma Elvis non si vide mai in quei panni. Per scelta. Poco dopo aver concluso le riprese del film morì infatti in un incidente stradale la protagonista femminile, Judi Tyler. Il re del rock, sconvolto, giurò a sé stesso che non avrebbe mai visto il film.
«TUTTI PER UNO» (THE BEATLES «A HARD DAY’S NIGHT»), 1964
Lo scoppio della beatlemania fu rappresentato sul grande schermo dai Beatles e dal regista Richard Lester in una commedia semi-documentaristica che divenne un successo internazionale e contribuì a diffondere ancora di più la passione per i Fab Four a livello internazionale. A Hard Day’s Night, in Italia doppiato e diffuso come Tutti per uno, è quello che da noi sarebbe stato definito come un «musicarello», un filmetto leggero e divertente confezionato attorno a musicisti popolari e canzoni di successo. Ma la spumeggiante scena iniziale scandita dalla title-track che vede i quattro ragazzi di Liverpool scappare dai fan è diventata la rappresentazione di un’epoca e la miglior anticipazione di quello che diventerà il moderno divismo. I Beatles peraltro saranno bravi, a differenza di Elvis, a usare il cinema senza esserne usati e riuscirono a separare la loro carriera musicale da quella cinematografica superando la bizzarra idea che dovessero diventare, come ai tempi sostenne la stampa americana, i nuovi Fratelli Marx.
«IL LAUREATO» (SIMON & GARFUNKEL «MRS. ROBINSON»), 1967
L’indimenticabile opera generazionale di Mike Nichols fu una delle prime pellicole non musicali ad avere una colonna sonora pop scritta appositamente. A tutt’oggi indimenticabile. Le scene del film sono scandite dai brani scritti da Simon & Garfunkel. The Sound of Silence, unico brano della colonna sonora già noto, apriva la storia e accompagnava i titoli di coda. Ma il crescendo finale in cui il protagonista Ben (Dustin Hoffman) corre verso il matrimonio della ragazza da lui amata, Elaine, per interromperlo è scandito dalle note del brano Mrs. Robinson. La canzone è dedicata alla vera protagonista femminile del film, la madre di Elaine, donna «matura» borghese insoddisfatta e seduttrice. Il ruolo, interpretato da Anne Bancroft (che in realtà era quasi coetanea di un ringiovanito Dustin Hoffman), è diventato un archetipo narrativo; la canzone dedicata a lei, un classico. Il pezzo fu scelto dal regista. Nichols, dopo aver bocciato due brani che non lo convincevano, aveva chiesto a Paul Simon e Art Garfunkel un ulteriore sforzo e di proporgli un’altra canzone. I due rispolverarono una composizione che avevano nel cassetto intitolata Mrs. Roosevelt. «Da adesso sarà Mrs. Robinson» sentenziò Nichols.
«EASY RIDER» (STEPPENWOLF «BORN TO BE WILD»), 1969
Se c’è una scena nella storia del cinema che cristallizza l’essenza stessa del rock della fine degli anni Sessanta è quella che inizia al settimo minuto di Easy Rider. I due protagonisti, interpretati da Peter Fonda e Dennis Hopper (anche regista della pellicola), salgono sulle loro Harley Davidson. Fonda butta via il suo orologio come se si liberasse da una catena e le motociclette sfrecciano su un’assolata autostrada deserta in cerca di una libertà assoluta sulle note di Born to Be Wild degli Steppenwolf. Il film oggi può apparire un po’ datato, ma quella sequenza e quella canzone sono diventate un affresco generazionale e parte della mitologia di un’epoca. Nel prologo del film i due protagonisti vendono un carico di droga a un ricco signore in Rolls Royce interpretato dal celebre produttore discografico Phil Spector sulle note di The Pusher, l’altro classico degli Steppenwolf. Tuttavia la band non sopravvivrà al grande successo di Born to Be Wild e di questa colonna sonora e si sciolse nel 1972.
«APOCALYPSE NOW» (THE DOORS «THE END»), 1979
Jim Morrison era morto nel 1971 e i Doors rischiavano di scivolare nel dimenticatoio. Ci pensò il capolavoro di Francis Ford Coppola a riportare in auge la band e a trasformare Morrison in un’icona e in un mito anche, e soprattutto, per la generazione degli anni Ottanta. Le note dell’intensa e torrenziale The End, un brano del 1967, aprono il kolossal ispirato al romanzo di Conrad Cuore di tenebra. La voce di Morrison scandisce l’incubo della guerra del Vietnam con esplosioni di napalm e voli di elicotteri. Le pale degli elicotteri diventano quelle di un ventilatore che cerca di attenuare il caldo soffocante di una stanza d’albergo di Saigon. Compare poi Willard, il protagonista interpretato da Martin Sheen. Un incipit cinematografico tra iperrealismo e surrealismo che dà sin dai primi istanti l’idea dell’apocalisse imminente. Il tutto nacque quasi per caso nelle fasi del montaggio di un film che ebbe una gestazione tormentatissima. Coppola voleva un inizio di grande impatto. Tra le sequenze tagliate venne riutilizzata la ripresa di un’esplosione girata nella giungla e si decise di accompagnarla alla sofferta e allucinata canzone tratta dall’album di debutto dei Doors. Si scelse così di proposito di iniziare con una canzone intitolata «La fine».
«THE BLUES BROTHERS» (THE BLUES BROTHERS «EVERYBODY NEEDS SOMEBODY TO LOVE»), 1980
È difficile pensare a un momento musicale di questo film che non abbia qualcosa di speciale o di unico. Dagli interventi di Aretha Franklin, Ray Charles e John Lee Hooker all’esibizione in stile Cotton Club di Cab Calloway. Ma la canzone più ricordata del film è senza dubbio la cover Everybody Needs Somebody to Love, un brano rhythm and blues e soul pubblicato per la prima volta da Solomon Burke, portato al successo da Wilson Pickett e riproposto anche dai Rolling Stones. Oggi, grazie al film, nella memoria collettiva la canzone è attribuita all’esplosiva coppia di Jake e Elliot Blues, gli attori John Belushi e Dan Aykroyd che avevano inventato i Blues Brothers per uno sketch della trasmissione televisiva Saturday Night Live. La loro interpretazione della canzone è il climax musicale del film diretto da John Landis e innescò, in un’epoca in cui si stava spegnendo l’ubriacatura per la discomusic, un grande revival globale della scena blues e r’n’b. Belushi era di Chicago, Aykroyd un canadese di Ottawa, ma fu quest’ultimo a convertire il compagno alla passione per la tradizione musicale nera. John infatti era soprattutto appassionato di hard rock, i suoi gruppi preferiti erano Grand Funk Railroad e Led Zeppelin. Ma l’alchimia dei Blues Brothers nasceva da una straordinaria selezione di musicisti che avevano anni di incisioni di classici della black music, e non solo, alle spalle: Steve Cropper, Donald Dunn, Lou Marini e Matt Murphy. «I veri Blues Brothers – ha ricordato poi Aykroyd – sono sempre stati loro, i musicisti che ci accompagnavano. Noi siamo stati solo attori che interpretavano il ruolo di cantanti».
«FUSI DI TESTA» (QUEEN «BOHEMIAN RHAPSODY»), 1992
Diretto da una regista, Penelope Spheeris, nota per la sua passione per il rock (realizzò la serie di documentari sulla scena punk e metal The Decline of Western Civilization), il film Fusi di testa (Wayne’s World) era, come capitò per The Blues Brothers, l’estensione cinematografica di un fortunato sketch dello show Saturday Night Live. Si trattava di una presa in giro dei cosiddetti headbanger, ragazzini di provincia appassionati di hard rock e metal, ma anche una satira di una prima generazione di adolescenti cresciuti con molta Mtv e poco altro. Molti riferimenti e battute vennero persi nell’esportazione del film al di fuori dei confini americani, ma la commedia interpretata dai due comici Mike Myers e Dana Carvey, è ricordata soprattutto per la scena in cui i protagonisti, stretti in una macchina scalcagnata, ascoltano Bohemian Rhapsody dei Queen. L’ascolto di trasforma in un memorabile ed esilarante karaoke. La scena è diventata così popolare da aver generato l’innumerevole serie di esibizioni canore da macchina che hanno impazzato su social e televisione. Fu l’attore Mike Myers a scegliere per la scena il brano dei Queen, la regista avrebbe preferito qualcosa di più genuinamente metal. Le riprese di quel segmento di tre minuti durarono più di nove ore e crearono non poca tensione sul set. Ma la costruzione della sequenza e la scelta della canzone risultarono perfette, tanto da rilanciare i Queen presso il pubblico degli adolescenti di allora. Inevitabile quindi il cameo di Myers nel film biografico Bohemian Rhapsody dove compare nei panni del discografico trombone che cerca di spiegare a Freddie Mercury e soci che il loro classico non è adatto agli amanti del rock.
«PULP FICTION» (CHUCK BERRY «YOU NEVER CAN TELL»), 1994
È impossibile prendere in considerazione i film di Quentin Tarantino senza pensare alla musica associata alle immagini. Il regista ama ripescare successi dimenticati e brani semisconosciuti riportandoli in vita come scenografie sonore dei momenti chiave di molti suoi racconti. Dalla scena di tortura in Le iene scandita dal brano Stuck in the Middle with You, alle musiche dei pionieri soul Delfonics in Jackie Brown fino a Don’t Let Me Be Misunderstood in Kill Bill, la musica è sempre molto di più di un semplice sottofondo, diventa parte integrante della narrazione. Quello che resta però il suo capolavoro, Pulp Fiction, offre probabilmente i momenti più memorabili. In particolare l’intera parte del film in cui il killer Vincent Vega, interpretato da John Travolta, ha il compito di passare una serata con la pupa del gangster, Mia (Uma Thurman). Si incontrano sulle note di Son of a Preacher Man di Dusty Springfield e si cimentano in un twist imprevedibile ed esilarante al ritmo di una hit di Chuck Berry del 1964, You Never Can Tell. La loro relazione breve ma intensa avrà uno sviluppo imprevedibile scandito da Girl, You’ll Be a Woman degli Urge Overkill.
«TRAINSPOTTING» (IGGY POP «LUST FOR LIFE»), 1996
«Scegliete la vita, scegliete un lavoro, scegliete una carriera, scegliete la famiglia, scegliete un maxitelevisore del cazzo, scegliete lavatrice, macchina, lettore cd e apriscatole elettrici…». L’epopea macabra ed esilarante dei giovani eroinomani scozzesi raccontati nel film di Danny Boyle tratto dal libro di Irvine Welsh inizia sulle note di uno dei brani più popolari di Iggy Pop, Lust for Life, del 1977. Il brano venne scritto da Pop e da David Bowie nel periodo in cui entrambi vivevano a Berlino condividendo lo stesso appartamento e gli stessi abusi di sostanze varie. La sequenza iniziale del film vede il protagonista Renton (interpretato da Ewan McGregor) impegnato in una fuga spericolata; la sua voce fuoricampo è un monologo che irride la vita della gente normale, riassumendo però tutte le masochistiche contraddizioni di chi sceglie di essere tossicodipendente: «Scegliete il futuro, scegliete la vita. Ma perché dovrei fare una cosa cosí? Io ho scelto di non scegliere la vita. Ho scelto qualcos’altro. Le ragioni? Non ci sono ragioni. Chi ha bisogno di ragioni quando ha l’eroina?». Non solo la canzone era l’abbinamento sonoro perfetto per il ritmo della scena, ma si accordava idealmente anche come tematiche. Lust for Life è infatti essenzialmente un inno dedicato alle crisi d’astinenza con tanto di citazioni tratte da un romanzo di William S. Burroughs.
«FIGHT CLUB» (PIXIES «WHERE IS MY MIND?»), 1999
Viene spesso da chiedersi se la sequenza finale del bellissimo film di David Fincher basato sul romanzo di Chuck Palahniuk avrebbe avuto lo stesso impatto se ad accompagnarla non avesse avuto il brano dei Pixies Where Is My Mind?, tratto dal loro album Surfer Rosa del 1988. La risposta è probabilmente no. Il protagonista interpretato da Edward Norton si è appena liberato del suo alter ego Tyler Durden, il colpo di scena è stato rivelato. Da una finestra di un grattacielo, accanto alla sua donna Marla, assiste al crollo dei grattacieli vicini sulle note della canzone. «Mi hai conosciuto in un momento molto strano della mia vita» dice il protagonista, che osserva la scena apocalittica come se vivesse un’epifania e un momento di rinascita. Un lieto fine paradossale e reso ipnotico dalle note e dai versi dei Pixies che sembrano nati per accompagnare questa sequenza: «La tua testa crollerà se dentro non c’è più nulla e ti chiederai dov’è la mia mente?». In realtà il leader della band, Frank Black, scrisse le parole per rievocare una sua esperienza da sub nel mar dei Caraibi. Ma il successo del film ha tolto ogni possibile altra ambientazione alla canzone. I Pixies che si erano sciolti nel 1994, anche grazie al successo ritrovato grazie a Fight Club, si sono riuniti nuovamente nel 2004.