Chi negli anni Settanta del secolo scorso si avvicinava ad Antonio Gramsci, allo studio della sua vita e del suo pensiero, si trovava di fronte alla necessità di compulsare, per operare una prima, obbligatoria ricognizione sull’oggetto del proprio studio, una biografia del grande sardo. La generazione che si accostò a Gramsci nel periodo appena indicato si trovò davanti a tre biografie del dirigente comunista: Giuseppe Tamburrano (Antonio Gramsci. La vita. Il pensiero. L’azione, Lacaita, 1963), Salvatore Francesco Romano (Gramsci, Utet, 1965), Giuseppe Fiori (Vita di Antonio Gramsci, Laterza, 1966).

I TRE AUTORI affrontavano la vita del pensatore sardo in modi diversi: chi insistendo, come Tamburrano, seppure in modo spregiudicato, decontestualizzando Gramsci rispetto al suo tempo, sugli aspetti teorici; chi, come Romano, fissando maggiormente l’attenzione sulla biografia in senso stretto, pur con una tendenza evidente a schiacciare la problematicità della vita di Gramsci su vicende psicologiche che, a suo dire, lo avrebbero condizionato; chi, come Fiori, ricostruendo le vicende del grande sardo in maniera non agiografica e senza preconcetti di ordine ideologico. Alla diversità delle impostazioni si contrapponeva un dato in comune fra i tre autori: si trattava di tre studiosi non comunisti.
Di queste biografie quella di Fiori, nel corso del tempo, ha maturato una legittima patente di classicità nel significato che il termine ha acquisito a partire dalla definizione di Calvino, ossia «un libro che non ha mai finito di dire quello che ha da dire»; per questo viene oggi riproposta (Giuseppe Fiori, Vita di Antonio Gramsci, con una Introduzione di Alberto Asor Rosa, Laterza, pp. 334, euro 20). Questa nuova edizione vuole essere un doppio omaggio: a Fiori, autore di importanti biografie quali quelle di Lussu, Berlinguer, Ernesto Rossi, Michele Schirru, Berlusconi, dei fratelli Rosselli, e inoltre della raccolta di saggi in un unico volume su Gramsci, Togliatti e Stalin, nonché di due romanzi, Sonetàula e Uomini ex, attraverso la ristampa di alcuni di questi libri; al biografato, in quanto il volume viene riproposto nel 130° anniversario della nascita e, a sottolineare l’evento, è comparso in libreria proprio il 22 gennaio scorso, giorno natale di Gramsci.
A partire dall’anno della sua prima pubblicazione, il 1966, nella collana «Universale Laterza», il libro di Fiori è stato riproposto dalla casa editrice più volte e con varia collocazione: nella collana «Storia e Società» (1974), nella «Biblioteca Universale Laterza» (1989), nella «Economica Laterza» (1995) e ora nei «Robinson/Letture». Da tenere presente anche che lo stesso Fiori curò, nel 1994, per la Einaudi, un volume di Antonio Gramsci intitolato Vita attraverso le lettere, che era quasi una (auto)biografia.

NELL’AVVERTENZA scriveva di voler fornire «l’autoritratto di Gramsci attraverso una selezione di 261 sue lettere (con le conosciute, le trascurate): tra le 652 finora edite, quelle che meglio aiutino le ultime leve di lettori a conoscerlo» (ovviamente il numero delle lettere era riferito alla somma di quelle carcerarie con quelle pre-carcerarie). Emergeva, dall’Avvertenza, la necessità di divulgare e far conoscere Gramsci a un pubblico vasto e veniva manifestata «l’ambizione di accostare a Gramsci i giovani, poco informati dalla scuola (se non da singoli professori colti e volenterosi)».
Asor Rosa, nell’Introduzione a questa nuova edizione, sottolinea quelli che a suo avviso sono gli aspetti fondamentali della biografia gramsciana di Fiori: la «sardità», «le radici e le scaturizioni psicologiche e culturali nel massimo della profondità possibile», l’impegno politico, la prigionia, la «centralità del tema amoroso». Asor Rosa si sofferma con particolare interesse sul Gramsci politico come appare nell’interpretazione di Fiori, in specie il Gramsci del 1926, fra il Congresso di Lione del gennaio e la lettera al Comitato centrale del Partito comunista sovietico dell’ottobre. Gramsci verrà arrestato, a dire il vero, meno di un mese dopo, l’8 novembre, e non «poco più di un anno dopo – novembre 1927».

Da qui l’Introduzione passa ad affrontare il tema, in genere ricordato con il titolo di un celebre saggio di Spriano, Gramsci in carcere e il Partito, ossia il «contrasto profondo – su cui Fiori metteva l’accento, ricorda Asor Rosa – che sarebbe sorto con lo stesso Togliatti e con il Centro del Pcd’I» conseguente all’espulsione di Leonetti, Tresso e Ravazzoli e all’assunzione da parte dell’Internazionale della linea del socialfascismo. «Gramsci sapeva? E qual era in proposito la sua opinione?», si chiede Fiori. Asor Rosa affronta la vicenda ricorrendo a una documentazione a dire il vero ormai datata, alle posizioni polemiche di Ragionieri e di Spriano contemporanee all’uscita del libro, concordi nell’affermare che non c’erano state fratture rilevanti, all’epoca, ai vertici del Pci. Sull’altro fronte, Fiori sosteneva che le tesi degli espulsi erano quelle di Gramsci e riteneva che la «suicida linea staliniana» fosse stata accolta con poca convinzione anche da Togliatti. A far chiarezza sulla vicenda intervenne, molti anni dopo, il ritrovamento del Rapporto Gennaro (pubblicato nel 2007 in appendice al volume di Angelo Rossi e Giuseppe Vacca Gramsci tra Mussolini e Stalin) nel quale il fratello maggiore di Gramsci, in un colloquio con il detenuto presso il carcere di Turi, sosteneva che Gramsci nulla aveva eccepito sull’espulsione dei tre, ma aveva criticato la svolta socialfascista imposta dall’Internazionale al Pcd’I. Ma il reale oggetto della riflessione carceraria di Gramsci sulla politica in atto non era solo sulla sua opposizione alla «svolta», ma più in generale sul tema della fuoriuscita dal fascismo. E a questo proposito Fiori aveva scritto che le stesse Tesi di Lione del 1926 anticipavano in qualche modo la politica dei fronti popolari.

QUALCHE OSSERVAZIONE più generale sul testo. La nuova edizione della Vita di Antonio Gramsci ripropone la stessa Avvertenza con cui Fiori apriva l’edizione del 1995. L’autore faceva presente allora che, pur consapevole della grande mole di scritti pubblicati sul comunista sardo dal 1966 in avanti, preferiva non intervenire sulla biografia, «per consiglio di cultori di Gramsci» propensi a pensare che il libro reggeva bene l’urto dei nuovi materiali nel frattempo messi a disposizione degli studiosi.
Siano consentiti a questo proposito alcuni dubbi. La classicità del lavoro di Fiori sarebbe venuta meno se questa nuova edizione fosse stata aggiornata, riveduta nelle note a pie’ di pagina e nella Nota bibliografica che chiude il lavoro? Non sarebbe stato opportuno, avendo a disposizione due edizioni delle Lettere dal carcere successive a quella di cui poteva disporre Fiori nel 1966 (presso Sellerio nel 1996, a cura di Antonio A. Santucci, e presso Einaudi, nel 2020, a cura di Francesco Giasi, quest’ultima arricchita di diverse nuove lettere), intervenire sulle molte note in cui Fiori scrive «La lettera è inedita»? I ragazzi ai quali Fiori dedica il suo lavoro, quelli che oggi leggono e studiano Gramsci, e più in generale forse tutte le lettrici e tutti i lettori, sarebbero stati riconoscenti a chi avesse realizzato tale operazione di necessario aggiornamento bibliografico, senza ovviamente toccare il testo. Ricordava Livio Sichirollo: «con i libri sono un po’ pignolo, cioè all’antica». E Antonio A. Santucci, peraltro amico di Fiori, chiosava: «Non resta allora che sperare d’essere stati abbastanza all’antica». Con i libri è meglio essere pignoli e all’antica che correre il rischio di esserlo troppo poco.