Una «residenza d’artista» alla Casa del Jazz ha concluso il 23 la XX rassegna italo-francese Una striscia di terra feconda. Dopo il vincitore del premio Siae 2016 – Gabriele Evangelista, esibitosi in quartetto – ha, infatti, suonato il gruppo F.A.R.E. Fourneyron/Arcelli Residence Ensemble: il trombonista Fidel Fourneyron e l’altosax Cristiano Arcelli sono i musicisti selezionati per dar vita a nuove composizioni e ad un inedito gruppo. E’ questa una delle cifre distintive della manifestazione co-diretta da Paolo Damiani (contrabbassista, compositore, didatta) e da Armand Meignan (presidente dal ‘93 di una rete di 70 festival jazz francesi): concerti, progetti-incontri innovativi, scambi, iniziative varie per favorire conoscenza dei rispettivi panorami jazzistici e valorizzare i giovani talenti.

Nei nove giorni di programmazione (15-23, primi recital a Palombara Sabina e Tivoli, in concerto l’ottimo XY4tet) si sono ascoltati tanti musicisti francesi di valore, da Mederic Collignon a Fabrice Martinez (leader dello Chut 4tet) fino a Dominique Pifarely e Theo Ceccaldi. Sul versante italiano non sono mancate le eccellenze: Maria Pia De Vito, Gianluca Petrella, Michele Rabbia e Pasquale Mirra tra i molti.

La scena francese promuove un’idea di jazz non revivalista e se lavora su repertori si riserva ampie manipolazioni. Prevale, tuttavia, una novità compositiva e di dimensione sonora «jazzé croisé». Il duo Watchdog (in prima nazionale il 22 al Teatro Studio Borgna, Parco della Musica) ben incarna questo spirito. Anne Quiller (Fender Rhodes, moog, piano) e Pierre Horckmans (clarinetto, cl. basso ed elettronica) fanno parte della «pattuglia» Jazz Migration, giovani artisti selezionati dai festival che li fanno circuitare ed incidere. Molta elettronica, minimalismo, una musica che sembra «ambient» ma è più ricca ed ambiziosa, pur lavorando in sottrazione e in «direzione cool».

Diversa è la poetica dell’Orchestre National du Jazz diretta dal 2014 dal chitarrista-compositore Olivier Benoit (sempre al Parco della Musica, il 19). Dodici eclettici ed eccellenti musicisti hanno eseguito in una sorta di camerismo allargato i brani scritti dal direttore ed ispirati a città europee, divenuti altrettanti album: Parigi (2014), Berlino (2015), Oslo (2017, con i testi del poeta norvegese Hans Petter Blad) e Roma (2016). Per l’Urbe i pezzi sono stati composti dal francese Benjamin De La Fuente e dall’italiano Andrea Agostini. Benoit si è ispirato alle architetture ed alla gente e la musica (guidata dalla bella voce di Maria Laura Baccarini) è policroma, densa, materica. Il jazz si intravede in controluce, è una memoria viva e generatrice ma il risultato lo travalica verso un «quid» sonoro che è altamente contemporaneo, con luci ed ombre inquietanti come nei migliori lavori di Louis Sclavis.

Significativo lo spazio per gli artisti italiani come il pianista Alessandro Lanzoni che ha vinto il premio SIAE 2017 (la SIAE è tra i principali sponsor della rassegna) e suonato con il gruppo Purple Whale Inspired by Jimi Hendrix, sestetto con il valente Simone Graziano per una rilettura non sempre riuscita. Molto gradito al pubblico il quintetto celebrativo Vingt ans après guidato da Paolo Damiani con Paolo Fresu e Gianluca Petrella, Theo Ceccaldi al violino e Danilo Rea. Musica del leader e arrangiamenti di brani popolari (il sardo Non potho reposare) eseguiti con classe da fuoriclasse.

La presenza di un folto pubblico (sold-out le serate del 21 e 22) premia una rassegna che, forte del sostegno istituzionale (dal Mibact all’ambasciata francese), continua a porsi come «progettuale e artistica», in controtendenza rispetto all’orientamento di svariati festival. (63)