Una lunga scia di sangue, scandita da ventotto delitti raccapriccianti commessi nello spazio di poco più di sei anni, tra l’agosto del 1977 e il marzo del 1984. Le vittime colpite con coltelli da cucina, martelli e accette o bruciate vive mentre dormivano in macchina o in rifugi di fortuna o mentre seguivano la proiezione di un film in un cinema «a luci rosse», l’Eros sexy center di Milano.

TUTTI OBIETTIVI della violenza fanatica di un gruppo neonazista che rivendicava i propri gesti con missive scritte a mano in caratteri runici, testi farneticanti – «La nostra fede è nazismo, la nostra giustizia è morte, la nostra democrazia è sterminio» – se quelle parole non si fossero tradotte in terribili atti concreti.

Quando, nella primavera del 1984, a chi si era celato fino a quel momento dietro la sigla di «Ludwig» si potrà finalmente dare un volto ed un nome, si scoprirà che si tratta di Marco Furlan e Wolgang Abel, rispettivamente 24 e 25 anni, due giovani della «Verona bene», studenti modello e, a detta di chi li conosceva, nazisti convinti. Saranno bloccati mentre cercavano di versare litri di benzina all’interno di una discoteca di Castiglione delle Stiviere, vicino Mantova.

Volevano incutere terrore nei loro coetanei in nome di una «morale» omicida che chiedeva l’eliminazione di ogni diversità e di ogni presunta devianza: avevano ucciso un nomade, un tossicodipendente, una prostituta, un omosessuale, ma anche degli anziani sacerdoti, «il fine della nostra vita è la morte di coloro che tradiscono il vero dio», avevano scritto nella rivendicazione di quest’ultimo delitto. Due giovani deliranti, pur condannati a trent’anni sarà loro riconosciuta la seminfermità mentale, che avevano agito da soli. Tanto da restare nella memoria collettiva del Paese più come dei serial killer che dei terroristi di estrema destra.

RICOSTRUENDONE la vicenda sulla scorta di quanto emerso nel frattempo dalle indagini sulla Strategia della tensione, e in particolare da quella sulla Strage di Brescia, Saverio Ferrari invita invece a porsi nuove domande con il suo I nazisti di Ludwig e il rogo del cinema Eros (Unaltrastoria, Red Star Press, pp. 122, euro 13). Dopo aver sottolineato come nei processi ad Abel e Furlan i giudici abbiano spesso sottostimato l’elemento ideologico insito nei loro crimini, Ferrari indica come invece proprio a questo profilo si dovrebbe guardare con attenzione per comprendere quali legami i due e l’intero percorso di Ludwig abbiano avuto con il circuito della destra radicale dell’epoca.

Ad una giovane conoscente i due avevano confidato, già prima che Ludwig iniziasse a mietere vittime, di far parte di «un gruppo politico-religioso» di estrema destra con alcune decine di aderenti che si riuniva regolarmente a Verona. Un ex aderente ad Ordine nuovo, avrebbe aggiunto qualche anno più tardi che «Ludwig era un’organizzazione composta da una decina di persone. Veneti, soprattutto veronesi, ma anche emiliani e qualche lombardo. Dei fanatici vicini all’associazione Ananda Marga». Una sigla, a metà tra esoterismo e anticomunismo, nata in India e cresciuta dagli anni Settanta anche in Occidente, che in Italia era legata a Ordine nuovo. Più che all’azione di due giovani fanatici, la nascita e la strategia di Ludwig si dovrebbe perciò ad un ambiente che già era stato all’origine di altri progetti di terrore. Senza contare che tra i possibili membri del gruppo, sottrattisi alla giustizia, potrebbero esserci alcuni degli ultimi indagati nella nuova indagine per la Strage di Piazza della Loggia del 1974.

«Alla luce di questa documentazione, la storia di Ludwig va riscritta – scrive Ferrari – , così come va chiarita definitivamente la sua natura, con buona pace delle perizie psichiatriche e delle sentenze che hanno ridotto il caso a una questione di follia individuale». Quanto accaduto andrebbe invece ricollocato «a pieno titolo nel contesto della Strategia della tensione segnata da bombe e manovre eversive». Del resto, «la natura di Ludwig era tutta politica, come politica fu la sua lucida, feroce e spietata azione».

RESTA, OLTRE ALLE ULTERIORI indagini che si possono auspicare e ai possibili nuovi sviluppi nella ricerca della verità, l’amara constatazione che proprio il Veneto, e in particolare Verona, dove Ludwig conduceva la propria campagna di terrore nel segno del «ferro e del fuoco» contro marginalità e diversità, si siano trasformate solo qualche anno più tardi nel laboratorio politico in cui sperimentare tutta la valenza propagandistica di slogan che parlano ancora una volta della necessità di «fare pulizia», includendo implicitamente l’idea che ci si possa sbarazzare in piena legalità di quanti si ritengano scomodi. Anche questa è un’eredità di quella stagione di sangue che andrebbe ulteriormente analizzata.