Le luci sono ancora accese nella grande sala strapiena di pubblico del Lac di Lugano. In palcoscenico, da sinistra, entrano in fila quattro uomini a torso nudo, in pantaloni cargo blu. Uno dietro l’altro marcano camminando lo spazio verso destra, in parallelo alla parete nera di fondo che ha puntelli per il climbing. Le luci scendono. La musica parte. È l’inizio di MOMO, la nuova creazione di Ohad Naharin con la Batsheva Dance Company di Tel Aviv. Titolo atteso dopo le prove aperte dello spettacolo, tenutesi qualche mese fa a Moncalvo nello spazio di Orsolina28 tra le colline del Monferrato, di nuovo in scena al Suzanne Dellal Centre di Tel Aviv il 19 e 20 maggio, prima della lunga tappa alla Villette di Parigi dal 24 maggio al 3 giugno. In Italia MOMO arriva in ottobre, tra il 14 e il 23, al Festival Aperto di Reggio Emilia, Torinodanza, Triennale Milano e Grande di Brescia, coproduttori con Orsolina28. Un lavoro da non perdere.Coreografie su musiche di Anderson, Glass, Kronos Quartet e Arca

La redazione consiglia:
Mr. Gaga e l’ossessione della danzaCOMPLICE una colonna sonora che gioca tra Landfall di Laurie Anderson e Kronos Quartet, Metamorphosis II di Philip Glass e la canzone Madre Acapella di Arca, il sound design di Maxim Waratt, i quattro maschi resteranno figure all’unisono, artefici di geometriche combinazioni, nella memoria visiva una sorta di coreografico basso continuo, diversificato tuttavia nella gamma formale e dinamica del movimento a quattro. Come una trama monocromatica a maglia larga nei cui buchi si infiltrano, senza minimamente strappare il tessuto, sette fili colorati indipendenti.
Sono i sette ulteriori danzatori di MOMO, acronimo che starebbe per Magic of Missing Out (La magia di perdersi). A Naharin piace giocare con le parole e i suoni, lo ha fatto in primis con il suo ormai internazionalmente diffuso linguaggio di movimento, che si chiama GAGA, ma suggestioni nominali a parte, certo è che i nuovi sette ci portano dentro un viaggio straordinario di relazioni e svelamenti in cui a brillare è la singolarità dell’individuo, libero da pregiudizi di genere, di mentalità, pensiero.

PARTE Billy Barry, chignon biondo, tutina rosa baby, splendido nella disarmonica armonia del movimento, un flirtare con se stesso e il pubblico attraverso un corpo virtuosisticamente disarticolato. Dopo di lui, la sinuosa Londiwe Khoza, flusso elegantissimo, personale, proiettato verso l’alto, e poi c’è Ohad Mazor, in tutù, dalle distorte, perigliose arabesques, riconosciamo il piglio di Eri Nakamura, il fatto è che ognuno dei sette è portatore di una danza sua. Tante le immagini che restano nella mente, la scena con la sbarra di danza, usata dentro e fuori dalle regole, l’arrampicata sulla parete, l’intrecciarsi delle coreografie dei quattro e dei sette, nate separatamente e poi unite in scena, quel magnetico unisono di tutti, con un braccio alzato, forse di resa, forse di saluto, gli occhi in dialogo verso la platea.
Un respiro umano che ci resta addosso. Perché, come dice Naharin nel bel documentario di Felice Cappa, Apprendisti stregoni. La natura della danza. Batsheva Dance Company a Orsolina28 (in onda su Rai5, ore 19.50, il 29 aprile nella Giornata Internazionale della Danza) «interessa ciò che abbiamo in comune come esseri umani, non in termini di nazionalità, religione, cultura, ma qualcosa di più fondamentale che ha a che fare con la nostra capacità di immaginazione, con la nostra essenza».