«Interpreto il nobil giuoco come una permanente ispirazione per il mio cammino nelle umane vicende e per il perfezionamento della mia anima, per il conseguimento della purezza e la ricerca della Verità. Tuttavia, vi è un continuo scambio fra le cose del creato e le cose umane, e ciascuna di queste si riflette permanentemente nelle altre. Per questo, sebbene cerchi queste cose sulla scacchiera, a loro volta queste stesse cose, nella loro evoluzione di vita, nutriranno la mia ricerca sugli scacchi e permetteranno il conseguimento del mio obiettivo finale…l’unione dell’individuo con l’universo, e la comprensione della vera sostanza dell’uomo nell’ambito della Grande Opera». Così, tra una guerra guerreggiata, quella della Lega Santa contro l’Impero Ottomano, e le tenzoni amorose, esprime la sua Weltanschauung il protagonista dell’ultimo romanzo di Mario Boffo, Il cavaliere errante (Castelvecchi, pp. 191, euro 20).

AMBIENTATA nello spazio Mediterraneo della seconda metà del siglo de oro, il ‘500, si narra la vicenda di un nobile calabrese realmente esistito, Don Giovanni Leonardo dei Bona di Cutro, detto il Puttino per il suo aspetto aggraziato, campione di scacchi, il nobil giuoco che gli farà da guida nella ricerca del senso della vita. Dalla carneficina della battaglia di Lepanto sino al ritorno al feudo di Cutro, lo seguiamo così nelle pagine dove si intrecciano avventure personali e intrighi politici, ricerca ermetica e memorabili partite a scacchi, in un crescendo di tensione narrativa verso la vittoria finale, che non è quella contro gli avversari che via via gli si parano dinanzi, ma sull’unico vero antagonista di ognuno di noi: se stesso.

Qui il ritmo narrativo sembra intriso della stessa saggezza che emana dall’apoftegma alchemico: solve e coagula. Nel nobil giuoco infatti, come nella vita, ci sono livelli diversi: alcuni palesi, essoterici, altri più nascosti e sottili, esoterici, l’accesso ai quali è consentito solo a chi, come afferma un altro personaggio del romanzo, di questi ha realmente fatto esperienze: «Quello che in effetti voi cercate sulla scacchiera, ma che avete anche cercato in battaglia e negli occhi di donne deliziose, non avrebbe mai potuto essere avvicinato senza passare per difficoltà e tormenti, delusioni e angustie, frustrazioni e dolori». Riflessioni che l’autore mette in bocca ad un nobile portoghese, ma che evidentemente sono rivolte a quanti ricercano ancora il senso profondo dell’esserci.

E COSÌ IL «NOBIL GIUOCO» diventa una potente metafora che traghetta, attraverso le caselle bianche e nere cui sono confinati i pezzi sulla scacchiera, verso la lettura occulta di quelle norme non scritte che reggono la vita reale. E, come negli scacchi, centrale è la figura della dama, della Donna, il pezzo più potente e simbolico, che irradia la sua forza ben oltre la tavola del giuoco. Il protagonista, quasi un Fedele d’Amore come lo fu Dante, cerca in una mossa ardita – la trasformazione di un pedone in Donna, in Regina – la quintessenza stessa della vita. E saranno invero le donne reali della sua vita a scandire altrettante fasi dell’avventura.

In un crescendo di gratitudine verso ciò che gli hanno insegnato, lo condurranno all’incontro con l’Ultima Donna, avendone ottenuto infine la Pietra Filosofale: la sua intima e finale trasmutazione animica. Ecco che Il cavaliere errante distilla, come un alambicco sapientemente manovrato dal suo alchimista, una meta-narrazione che si rispecchia infine nella: «Consapevolezza di contribuire, seppur con immensa modestia, all’ordine dell’Universo».