C’è un’età della nostra vita che non sappiamo raccontare. Può durare una sola estate o una manciata di stagioni. Accade quasi sempre nell’intervallo tra gli otto e gli undici anni. Ricorderemo di quel tempo alcuni avvenimenti, i giochi e il cibo preferito, le cadute o qualche amore platonico, ma difficilmente sapremo definire come stavamo allora. Troppo vicine infatti si fanno in quel punto la crudeltà e l’innocenza.

Sono giorni in cui, compressi nella strettoia dell’infanzia, ci rifugiamo in pianeti silenziosi, emanando una sostanza acida.

COME DESCRIVERE allora in letteratura le emozioni di quell’età sospesa? Il passaggio alla pubertà di una bambina, Teodora, è il cuore di Bravissima, romanzo d’esordio di Paola Moretti, già autrice del podcast «Phenomena» e di alcuni racconti pubblicati nelle riviste di narrativa.

Edito da 66thand2nd, nella collana dedicata allo sport, Bravissima (pp. 224, euro 16) descrive un periodo della crescita di Teodora e il deflagrare di una passione sportiva, quella per la ginnastica ritmica. Lo fa forse dall’unica prospettiva possibile per accedere alle emozioni della prepubertà: dall’esterno, attraverso gli occhi della madre, Antonella.

Trasferiti da Milano in una cittadina costiera del centro Italia, madre, padre e figlia cercano ognuno un assetto nella nuova vita. Antonella, che narra le vicende in prima persona si trova anche lei in una fase di passaggio.

Catapultata in un posto nuovo dalle esigenze lavorative del marito, è in cerca di una dimensione propria, nel mondo e tra le mura domestiche, dove il rapporto fino ad allora fusionale con la figlia comincia a farsi più rarefatto lasciando uno spazio di sé da reinventare.

DURANTE LE SUE SOLITARIE passeggiate in riva al mare, finestre di riflessione e nutrimento nella monotonia della provincia, la mamma di Teodora si chiede se assecondare il fervore agonistico della figlia, o aggrapparsi all’autorità genitoriale per proteggerla dalle durezze della competizione o forse solo per sentirla ancora un attimo vicina.

Eppure tramite il filtro materno ciò che affiora è l’insondabile Teodora, durissima e fragile, sfuggente nella determinazione della sua individualità. La possiamo osservare nei dettagli, interpretandone sguardi e rossori, accettando di non sapere fino in fondo lei cosa pensa.

Attraverso lo sport la ragazzina scopre la fiducia in sé stessa ma anche l’accettazione del limite, quando un imprevisto occorre a destabilizzare il percorso sportivo nel quale è lanciata.

Passano quindi, madre e figlia, in una landa incerta dove il loro rapporto si rompe e si rattoppa di continuo, ed è questa tensione tra loro che spinge a sfogliare pagina dopo pagina.

Sullo sfondo altre figure femminili costellano la storia, come ombre irrisolte. Le allenatrici di Teodora, tra spietatezza e sensibilità, le amiche della ginnastica, tra la simbiosi amicale e i giochi di potere tipici dell’età, le altre madri delle atlete, solo apparentemente pacificate nel sostegno alla passione delle figlie.

INFINE c’è la nonna di Teodora, madre di Antonella, sporadica nella presenza fisica, figura che a modo suo, con distacco «milanese» e pudore emotivo, tiene tutte in equilibrio dalla distanza.

Senza imporsi con un tema divisivo, senza tendere facili trappole all’empatia, senza confondere con imprevisti stilistici, Paola Moretti esordisce con un romanzo sussurrato e sicuro di sé.
La scrittura, realistica e mai fredda, va a fondo con delicatezza, con un’armonia che appare priva di sforzo, proprio come la performance di una ginnasta.