Da venerdì, 8 settembre, torna in libreria Amianto di Alberto Prunetti, stavolta con l’Universale Economica Feltrinelli (pp. 144, euro 11). Terza edizione e terzo giro di boa di una rotta underground (nel senso più alto e glorioso del termine) cominciata nel 2012 con Agenzia X, proseguita due anni dopo con le Edizioni Alegre e infine giunta a chiudere il cerchio con l’approdo in uno dei cataloghi più importanti e prestigiosi dell’editoria italiana. A dimostrazione che le realtà indipendenti ci avevano visto lungo.

IN QUESTI UNDICI ANNI il volume di Prunetti ha girato l’Italia – e non solo, è stato tradotto in Spagna, Francia e Grecia – animando il dibattito su temi che non smettono di essere urgenti. Per chi non l’avesse intercettato, Amianto racconta la storia operaia di Renato Prunetti, padre dell’autore e saldatore tubista morto anni dopo le sue fatiche in fabbrica per aver inalato le fibre della sostanza minerale che dà il titolo al libro. Fibre cancerogene la cui letalità, ormai manifesta a chiunque, era già conclamata in tempi non sospetti, anche se il padronato aziendale preferì mascherarne l’evidenza per non interrompere la produzione e soprattutto non incorrere in conseguenze penali. Le condanne del famigerato processo Eternit – «per disastro ambientale doloso e permanente» e «per omissione volontaria di cautele antinfortunistiche» – sono infine arrivate, salvo poi cadere in prescrizione. La Storia è tristemente nota: anteporre la ragione speculativa alla salvaguardia umana e ambientale, alla vita delle persone e del pianeta che abitiamo.
Ma ben lungi dall’essere un’opera riassumibile in una cifra tragica e vittimistica, Amianto è il racconto orgoglioso e appassionante, a tratti persino guascone e auto-ironico, di un’epopea operaia che in molti vogliono al tramonto e che invece continua a esistere e ha ancora molto da dire. E che raccontando di sé mette a nudo sorti e contraddizioni del sistema in cui tutti viviamo.
«L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro» recita il primo articolo della Costituzione. E del lavoro ne ha fatto un’ossessione: dalla stagione sessantina di Industria e Letteratura alla narrativa sul precariato degli anni Zero. Sempre, il lavoro, è stato oggetto d’indagine ossessiva nella prosa di questo Paese. Spesso, però, attraverso le sole parole di chi officine e fabbriche le osservava da fuori.

LA PRIMA DISCONTINUITÀ rispetto a questo sguardo oggettivizzante si riscontra nei ’70, quando le co-inchieste restituirono voce e protagonismo agli operai facendoli passare da oggetto a soggetto delle narrazioni. Poi, nella prima decade del nuovo millennio, è la volta di Amianto. Intrecciando nel racconto la parabola di suo padre Renato (operaio tout court) con la sua di precario e proletario cognitivo, Alberto Prunetti salda la storia della classe lavoratrice di ieri e di oggi e il risultato è una riappropriazione discorsiva di cui la stessa classe era stata espropriata.
Non a caso a partire dalle riflessioni intorno a questo libro, e da altre opere che in Italia e nel mondo si muovono nello stesso solco, si è tornati a parlare di «letteratura working class». Una denominazione – a definire un campo in cui si intersecano produzione d’immaginario, discussione e lotta – che è stata ripresa dall’omonimo Festival tenutosi lo scorso aprile alla GKN di Firenze, la fabbrica di componenti automobilistiche che nel 2021 ha annunciato la chiusura e il conseguente licenziamento di centinaia di lavoratori. La GKN continua a essere presidiata dalle contestazioni e la tre giorni di Festival di Letteratura Working Class animatosi a partire dal collettivo di fabbrica (e da Prunetti che negli ultimi due anni con il collettivo ha condiviso picchetti e assemblee) ha registrato migliaia di presenze – tra le più disparate – e ha visto fondersi nei vari libri ospitati rivendicazioni di classe e genere in un unico grande orizzonte.

FINO A CONCLUDERE che, forse, ciò che definisce davvero la letteratura working class «non è né la provenienza sociale dell’autore né tantomeno il tema trattato, ma il fatto di essere un’incitazione alla lotta».
A oltre un decennio dalla loro comparsa, le pagine scritte da Prunetti (e che fanno parte di una «trilogia working class», Amianto è stato infatti seguito da 108 metri e Nel girone dei bestemmiatori, entrambi pubblicati da Laterza) non invecchiano e anzi tornano a essere di una bruciante attualità.
Mentre il pianeta arde e la società umana è ancora lontanissima dal redistribuire fatica e ricchezza come dovrebbe, e mentre il concetto stesso di lavoro nell’ondata odierna di «grandi dimissioni» comincia a entrare nel vivo di una crisi ontologica, Amianto torna in libreria per ribadire un ultimatum universale e non più ignorabile: emancipare noi stessi e l’altro dalle catene dello sfruttamento.