Anno 1973, Piero Chiara da Luino ha avuto un’intuizione. Da sempre narratore dei vizi di provincia si spinge un po’ oltre. Non oltre la provincia, va solo un po’ più indietro nel tempo e confeziona Il pretore di Cuvio. Che poi diventa il suo massimo successo editoriale. Chiara rappresenta un personaggio miserabile eppure sugli scudi: il pretore. Divenuto tale per meriti politici e non professionali, siamo in pieno fascismo imperiale. I difetti del provinciale assumono così una connotazione ulteriormente sgradevole, alimentati da protervia, impunità, arroganza, maschilismo.

Lo stesso Chiara, che già aveva visto trasporre suoi romanzi per il grande schermo, aveva pensato di tradurre per il cinema lo squallore di Augusto Vanghetta (geniale già nel nome che riecheggia il celebrato imperatore unito al gesto contadino). Poi però, rimasto insoddisfatto del tentativo, lasciò perdere, così come lasciò cadere altre ipotesi che si erano affacciate successivamente da parte di altri. Lo scorso anno si è celebrato il centenario della nascita di Chiara, per questo poco prima Sarah Maestri, anche lei originaria di Luino, era tornata alla carica per ottenere i diritti cinematografici del Pretore. E ce l’ha fatta, costituendo una sua società di produzione, la Chichinscì, che insieme alla Lime ha effettivamente realizzato il film. Affidando la regia a Giulio Base, dato per disperso al cinema dopo La bomba che risale ormai a una quindicina d’anni fa, periodo in cui ha macinato sceneggiati tv passando da Padre Pio a Pompei.

Protagonista è diventato Francesco Pannofino che ha trasformato una figura tristemente patetica in una insopportabile macchietta da avanspettacolo. Sarah Maestri invece si è assegnata il ruolo dell’insipida moglie Evelina, trascurata, tradita, travolta dagli eventi e sempre più sfiorita, pronta però a risvegliarsi tra le braccia di Landriani, l’assistente del pretore (interpretato da Mattia Zaccaro Garau). Il film è quasi una parentesi, tra le spassose chiacchiere di due lombarde su una panchina a ridosso del lago.

Una parentesi troppo lunga, con poche idee e uno stravolgimento dello stesso romanzo. Che è lecito tradire quando si opera in altro ambito, qui purtroppo risulta solo svilito, immiserito da ammicchi e mossettine, trascinando in fondo al lago la storia, l’epoca, i vizi e forse lo stesso Piero Chiara che probabilmente non avrebbe apprezzato questa versione adattata per il cinema.