Il 10 marzo, il ministro Dario Franceschini ha annunciato la nascita della «Digital Library Italiana», finanziata con due milioni di euro, che «valorizzerà l’immenso patrimonio di immagini» conservato negli Archivi di Stato, nelle biblioteche pubbliche statali e negli archivi fotografici delle soprintendenze. Finalmente una buona notizia per archivi e biblioteche? Purtroppo, non sembra.

UN QUARANTENNIO di esperienza nel campo delle digitalizzazioni ci insegna che non basta lo stanziamento di fondi per produrre servizi per i cittadini e tutela del patrimonio. Negli anni, infatti, di soldi se ne sono spesi e anche tanti; più di un ministro ha infatti voluto cogliere i benefici di immagine che poteva offrire il comparire come colui che digitalizzava il patrimonio culturale italiano. I risultati, però, non sono sempre stati quelli auspicabili.
I più anziani ricorderanno come nel 1986-87 vennero finanziate con 600 miliardi una serie di iniziative di «valorizzazione dei beni culturali (…) attraverso l’utilizzazione delle tecnologie più avanzate».

SI PARLAVA allora di valorizzare i «giacimenti culturali». Qualcosa di utile venne fatto, ma si sprecarono anche molti soldi per la creazione di banche dati inutili ed inutilizzate, destinate ad un lento e solitario deperimento in qualche scantinato ministeriale.
I più giovani, invece, potranno ricordare i fasti del portale «CulturaItalia», costato 1 milione e 300 mila euro, che prometteva di portare il patrimonio culturale a portata di un click, ma che in realtà offre agli internauti pochi frutti in più di quanto essi non possano ottenere mediante una semplice ricerca con Google.

NEL TEMPO, poi, sono stati effettuati molti altri progetti di digitalizzazione, piccoli e grandi, alcuni progettati accuratamente, altri improvvisati o improntati al pressapochismo; alcuni rendono ottimi servizi ai cittadini, altri si sono rivelati solo sprechi di soldi. In breve, digitalizzare è utile solo se fatto nell’ambito di un progetto ben meditato.
Quindi ben vengano, naturalmente, i finanziamenti, ma è necessario capire bene a cosa verranno destinati e da chi e come verranno gestiti. E qui cominciano i problemi. Il ministro infatti ha affidato la creazione della «Digital Library Italiana» all’Istituto per il catalogo e la documentazione (Iccd), un istituto il cui fine istituzionale è la catalogazione del patrimonio culturale, ad eccezione di archivi e biblioteche.

PER LA GESTIONE dei sistemi informativi che descrivono queste altre categorie di beni, infatti, esistono altri due istituti centrali, rispettivamente l’Istituto centrale per gli archivi e l’Istituto per il catalogo unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche. A ognuno il suo mestiere: descrivere un quadro non è la stessa cosa che descrivere un libro; descrivere un archivio è diverso da descrivere un sarcofago; occorrono schede diverse, sistemi informativi diversi, professionalità diverse.

PER DESCRIVERE il patrimonio archivistico e bibliografico esistono già due imponenti sistemi informativi, gestiti dai due istituti centrali sopra ricordati: il Sistema archivistico nazionale, che permette di accedere alla descrizione – più o meno analitica – del patrimonio documentario conservato da oltre 10mila istituti di conservazione e di accedere a più di 55 milioni di documenti digitalizzati; e il Servizio bibliotecario nazionale, che permette di consultare on line il catalogo unificato di circa 6mila biblioteche e accedere a 800 mila testi digitalizzati. Un altro portale, «Internet culturale», è finalizzato a facilitare l’accesso alle copie digitali di libri e periodici antichi e include oltre 10 milioni di oggetti digitali.

Qual è il senso, dunque, di creare un ulteriore portale? Perché non concentrare le risorse per migliorare e potenziare il Servizio archivistico nazionale e il Sistema bibliotecario nazionale? A qual fine creare conflitti di competenze, affidando a un istituto che di archivi e biblioteche non si è mai occupato, il coordinamento delle digitalizzazioni effettuate da archivi e biblioteche? Difficile dare risposta a questi interrogativi. Ma per chi non si accontenta degli annunci, sono domande che contano