In che modo si può oggi affrontare il discorso intorno al nesso letteratura-ideologia dal punto di vista gramsciano? La domanda è posta a partire dalla lettura del volume a più mani, curato da Paolo Desogus, Mimmo Cangiano, Marco Gatto e Lorenzo Mari, Il presente di Gramsci. Letteratura e ideologia oggi (Galaad Edizioni, pp. 340, euro 18).

SE SI PRENDE in considerazione la lettera del pensiero gramsciano a proposito del problema, la risposta è quasi automatica: Gramsci affronta la questione dal punto di vista dell’intellettuale e del dirigente politico attento a cogliere il nesso storico della subordinazione dei governati ai governanti anche attraverso l’analisi della letteratura e dell’arte. A ben vedere, il grande sardo pone un’ulteriore questione relativa alla possibilità di un’estetica marxista, o del materialismo storico, o ancora della filosofia della prassi, questione che, però, Gramsci affronta prendendo in considerazione tutta un’altra serie di problemi, soprattutto storici.

LA DIMENSIONE prismatica della sua riflessione che penetra, a partire dalla realtà storica così come essa si presenta, la filosofia, la letteratura, l’economia, la politica, consente di sottrarre la complessità dell’opera gramsciana alla falsa indicazione, che vorrebbe essere anche una stroncatura, di organicità. Gramsci non voleva realizzare un’estetica materialista quanto piuttosto andava alla ricerca di nuovi argomenti, in specie polemici, a sostegno della sua battaglia culturale per l’egemonia.

SEMBRA DUNQUE che i saggi che compongono il volume della Galaad si muovano proprio in questa direzione, ossia quella indicata da Gramsci alla ricerca dei mezzi per costruire l’egemonia e, quindi, realizzare un nuovo senso comune che si presenti con le caratteristiche del buon senso. Nella eterogeneità dei temi trattati dai singoli autori (ne cito alcuni senza nulla sottrarre agli altri; il concetto di oggettività, Prometeo e la Città Futura, Fortini, Volponi, Pasolini, la critica cinematografica gramsciana, Asor Rosa) si coglie un elemento unificante che si può definire «militante»: porre la necessità di una coscienza critica che sappia valorizzare, proprio nel senso più profondo dell’attributo «critica», ossia elaboratrice di un giudizio nuovo, in cui, al permanere dei soggetti, cambino le predicazioni degli stessi, e, perciò, alternativo, l’idea lukácsiana, ma di conio gramsciano, come sostiene Marco Gatto, «che la letteratura si candidi a essere strumento di conoscenza della realtà proprio per la sua capacità di riflettere la complessità del consorzio sociale, a volte persino allontanandosi dai principi ideologici dell’autore».

QUINDI, L’IDEOLOGIA: termine ormai obsoleto la cui fine è stata decretata in quanto manifestazione delle elaborazioni alternative rispetto all’unico pensiero dominante. Gramsci la ripropone, come ricorda Mauro Pala nella sua Postfazione, in quanto proprio «un complesso lavoro ideologico» è alla base di quello «spirito di scissione» da cui i subalterni progressivamente acquisteranno la «propria personalità storica».
Il libro è percorso, mi sembra, anche dall’esigenza di riformulare il concetto di nazional-popolare per sottrarlo in modo definitivo a quei giudizi che spesso lo hanno ricondotto al paternalismo di stampo giobertiano.

GRAMSCI VOLEVA proporre, con quel concetto, una storia politica della cultura italiana della quale la letteratura fosse parte essenziale; il «presente di Gramsci», che dà il titolo al volume, vuole essere la ripresa del tema gramsciano della letteratura appannaggio non solo dei dominanti ma anche, e soprattutto, dei subalterni. Mentre Gramsci parlava di Dante e di Manzoni, che restano centrali e fondamentali, gli autori indicano Fortini, Volponi, Pasolini etc. La letteratura può, perciò, proporsi come momento necessario del «complesso lavoro ideologico» di cui si è scritto. Ma, a questo punto, il lavoro diventa pedagogico; la palla passa alla scuola. Hic Rhodus, hic salta!