Non è la prima volta che la Turchia è segnata da continue manifestazioni. La rivoluzione dei giovani turchi (1908-1923) avrebbe consegnato il Paese nelle mani di Mustafa Kemal Atatürk, conosciuto come il «padre dei turchi» e della sua idea di modernità e laicismo. Tuttavia, in contrasto con le riforme del kemalismo e delle precedenti Tanzimat, gli sviluppi politici del periodo del Sultano Hamid (1878-1908) e dei giovani turchi sono contemporanee ad un’era di stagnazione del processo di modernizzazione.

Si è trattato di certo di una fase di diffusa riforma, soprattutto in campo educativo. I Comitati dell’Unione e del Progresso (Cup) dominavano l’educazione statale secolare primaria e secondaria, la formazione degli insegnanti e gli istituti specializzati. Non solo, al di fuori del sistema educativo, si sperimentava un’estensione considerevole delle opportunità educative per le donne, si diffondevano gli sport femminili di massa, il teatro e il cinema. Questo movimento è stato precursore del laicismo della Repubblica kemalista favorendo la distinzione tra politica e religione. Con i Cup il sistema delle madrase (scuole coraniche) è stato smantellato così come l’influenza degli ulema sullo Stato. Nonostante ciò, i giovani turchi dovettero legittimare le loro idee in termini islamici, sebbene fossero veementemente anti-religiosi. I Cup usavano l’Islam come ideologia per unire la società ottomana: questo dimostra come la religione definisse il discorso politico e sottolinea l’importanza della religione nel connettere Stato e società.

I giovani turchi e l’insediamento di Atatürk hanno segnato un momento di svolta nell’evoluzione della cultura socio-politica del Paese. Tanto da conquistare, per gli intellettuali del Duemila, il ruolo di simbolo delle proteste del Gezi Park. L’intelligentsia turca si è schierata a gran voce contro l’autoritarismo di regime e a favore delle manifestazioni che dal primo maggio scorso proseguono quotidianamente in tutto il Paese. Tra loro, spesso critico nei confronti del governo turco, il premio Nobel Orahn Pamuk si è schierato apertamente a sostegno dei manifestanti.
Ma a quale volto di Atatürk fa riferimento oggi l’intelligentsia turca? È bene ricordare che gli intellettuali contemporanei ad Atatürk, in seguito ad un primo momento di slancio per le politiche del leader, hanno sofferto di un forte senso di smarrimento, soprattutto a causa delle scelte politiche di quest’ultimo e delle strategie di gestione delle tensioni sociali. Gli intellettuali del tempo, primi fra tutti scrittori e giornalisti, denunciarono la grande delusione provata per le politiche di Atatürk: tanto che Halide Edip Adivar, scrittrice e insegnante, fervente sostenitrice degli ideali del leader, finì per trasformarsi da paladina della militanza negli anni Venti ad oppositrice del kemalismo. Con lei, Nazim Hikmet, poeta, scrittore e politico pagò con la prigione prima e un esilio forzato in Russia poi la sua forte opposizione al governo. Accusato di attività sovversive e tradimento della patria, Hikmet ha sempre professato il riscatto, e con lui molti altri si dissero delusi del kemalismo che, da un lato, si prodigava per il coronamento del laicismo, dall’altro, gettava le basi per l’autoritarismo.

Per quel che riguarda la totale assenza di pluralismo contro cui i tanti scrittori dell’epoca si schierarono, primo fra tutti Hikmet, basta pensare allo sfrenato culto della personalità di cui godette Atatürk in vita.[do action=”citazione”]Se da un lato, Atatürk va ricordato per aver fondato il Cumhuriyet Halk Partisi, il Partito popolare repubblicano, anch’esso simbolo dell’opposizione turca, dall’altro è anche colui che le élite dell’epoca non attesero a denunciare per il forte controllo imposto sulla società e sugli intellettuali.[/do]
Artefice della completa negazione del multi-culturalismo, di milioni di persone che, non abitando nelle grandi città, non godettero delle politiche del kemalismo. Di questo parla più volte Karaosmanoglu, in particolar modo nel celebre Yaban (Terra Matrigna): malinconica opera di denuncia dell’estrema distanza delle nuove politiche e delle moderne istituzioni da una realtà rurale desolante e crudele. A questo si affianca la questione delle minoranze, protagoniste anche delle rivolte in corso: dai kurdi agli armeni. Se oggi Atatürk sembra il simbolo indiscusso di giustizia e legalità, il kemalismo fu oggetto di critiche, troppo spesso zittite, da parte della fervente classe di intellettuali a lui contemporanea.