La bottega di Mario Carrabs, a due passi dal castello di Gesualdo, in provincia di Avellino, è uno scrigno di saperi: macellaio, selezionatore e affinatore di formaggi, nel suo banco non manca mai il Pecorino di Carmasciano, uno dei Presìdi Slow Food dell’Alta Irpinia. È un formaggio a latte crudo che fino agli anni Cinquanta del secolo scorso ogni famiglia contadina dell’area produceva. Prende il nome dalla località Carmasciano, a cavallo tra i Comuni di Sant’Angelo de’ Lombardi, Rocca San Felice, Guardia de’ Lombardi e Frigento. Qui la presenza della Mefite, un lago di origine sulfurea alimentato da pozze solforose, caratterizza le essenze foraggiere dell’area, che a loro volta conferiscono al latte un sapore molto particolare. Fino agli anni Cinquanta del secolo scorso ogni famiglia contadina dell’area produceva pecorino per il consumo familiare, e allevava due razze ovine, la laticauda e la bagnelese.

IL TERRIBILE TERREMOTO DI QUARANT’ANNI fa (23 novembre 1980) ha portato molti giovani ad abbandonare l’Alta Irpinia. La riscoperta del pecorino di Carmasciano è iniziata nei primi anni Duemila, rafforzata nel 2008 con la nascita dell’Associazione Pecorino di Carmasciano, che ha riunito otto produttori con l’obiettivo di far conoscere questa produzione e di salvare la razza ovina laticauda e di promuovere un territorio collinare incontaminato.

Il Pecorino di Carmasciano è uno dei 325 Presìdi italiani di Slow Food in Italia, che domenica 18 ottobre ha festeggiato i vent’anni di questo progetto nato per difendere la «biodiversità domestica, un compito che ancora nel 2000 non assolveva nessuno in modo esplicito, perché le agenzie Onu come la Fao erano impegnate a tutelare quella selvatica», racconta Piero Sardo, presidente della Fondazione Slow Food per la Biodiversità dal 2004.

SARDO, TRA I FONDATORI DI SLOW FOOD alla fine degli anni Ottanta, fa un passo indietro: «Nel 1998, a margine del Salone del Gusto del Lingotto, organizzammo un convegno durante il quale era chiamato ad intervenire José Esquinas Alcázar, responsabile Fao per le risorse genetiche. L’anno prima avevamo scritto il Manifesto dell’Arca del Gusto, con l’obiettivo di mappare i prodotti locali a rischio di estinzione. Fu lui, con le sue riflessioni, ad aprirci a una nuova consapevolezza: ci disse infatti che quei prodotti dell’Arca sono biodiversità: la biodiversità – un tema che allora per noi era piuttosto vago, e un termine il cui uso non era nemmeno così ricorrente – non era rappresentata solo dalle specie selvatiche, ma anche da quelle domestiche, quelle che l’agricoltura e l’artigianato avevano selezionato nel corso dei millenni».

È NATO A PARTIRE DA QUESTA INTUIZIONE un progetto che Slow Food avvia in Italia ma allarga immediatamente a tutto il mondo. Oggi i Presìdi sono 593, mentre i prodotti segnalati sull’Arca del Gusto sono 5.327 (mille dei quali in Italia). «Il bilancio è estremamente positivo. Un progetto originale e innovativo che sembrava un’utopia ha funzionato. I dati che oggi dimostrano l’impatto positivo dei Presìdi sono tantissimi: sono economici, ma anche sociali e ambientali. Uno per tutti: le emissioni generate dalle aziende agricole estensive e di piccola scala dei Presìdi sono inferiori del 30% a quelle di analoghe produzioni convenzionali» ha spiegato Serena Milano, segretaria generale della Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus, nel corso del convegno del 18 ottobre.

NEL 2000 I PRIMI 90 PRESIDI coinvolgevano 500 agricoltori e trasformatori. Oggi 325 Presìdi vedono impegnati 2.500 realtà produttive. «In molti casi siamo partiti con pochissimi custodi, spesso anziani, poi si sono aggiunte nuove famiglie, molti giovani che hanno deciso di lavorare in campagna, magari dopo aver conseguito una laurea. Sono nate associazioni, consorzi di produttori orgogliosi del proprio lavoro e che hanno condiviso disciplinari di produzione» sottolinea Serena Milano. Tra i giovani c’è, ad esempio, Lorenzo Agatiello, che ha vent’anni e vive a Nizza Monferrato. «Ho finito quest’anno gli studi in agraria. A 16 anni avevo deciso di interrompere la scuola, ma due anni fa ho ripreso a studiare facendo corsi serali, perché gli insegnanti mi hanno convinto dell’importanza di terminare gli studi per poter conseguire il diploma. Mi sono appassionato all’agricoltura e alla vita nei campi fin da bambino grazie a mia nonna paterna» racconta.

LA NONNA HA 88 ANNI, ED E’ ARRIVATA in Piemonte nel 1963, dando vita all’azienda di famiglia, una delle undici coinvolte nella produzione del Cardo gobbo di Nizza Monferrato. «Gran parte di quello che so l’ho imparato affiancando mia nonna, passando tutti i pomeriggi con lei e aiutandola a svolgere i lavori nei campi» dice Lorenzo, che a breve diventerà il titolare dell’azienda agricola. Hanno due e tre anni più di lui i fratelli Nicola e Lucia Ceccarelli, che hanno affiancato i genitori nella conduzione di un’azienda agricola e agrituristica biologica. Il padre Claudio è il referente tra i produttori del Presidio del Vino santo affumicato dell’alta valle del Tevere.

NEI SECOLI LE FAMIGLIE DELLA ZONA di Città di Castello hanno elaborato una tecnica che ha reso unico e originale questo prodotto: l’appassimento dei grappoli o coppiole (grappoli appesi uniti a due a due) è fatto in locali ricchi di fumo, per la presenza di camini e stufe, e questo dona una nota affumicata al prodotto finale. La tradizione rappresenta una forma di innovazione: porta le aziende ad investire. I Ceccarelli hanno impiantato un nuovo vigneto.

DAL 2020 I PRESIDI POSSONO COSTITUIRSI in Comunità Slow Food, come gruppo di persone che opera sul territorio con un obiettivo comune, e i prodotti si fregiano della Chiocciola rossa, il simbolo dell’associazione. «Ogni produttore deve poter riconoscere di fare parte di un grande progetto» conclude Piero Sardo. «I Presìdi – dice – sono una delle gambe su cui cammina il movimento di Slow Food». E la biodiversità nel piatto è diventata un pilastro delle politiche europee, con la Strategia Farm to Fork che fa parte del Green Deal della Commissione europea e vuole rendere sostenibile il sistema alimentare.