In questi giorni, il circo Trump è concentrato intorno alla questione della Russia e alla deposizione del ministro della giustizia Session, a seguire quella – la settimana scorsa- dell’ex direttore dell’FBI Comey. Ma ai margini del polverone ancor più mediatico che politico, l’America sotto Trump continua la sua corsa. Irrevocabilmente, catastroficamente, all’indietro. E mentre il presidente, in gita a Miami, anticipa una retromarcia sulle relazioni con Cuba, il vento reazionario del nuovo clima culturale ha colpito una delle più amate istituzioni newyorkesi, Free Shakespeare in the Park. Tra i più frequentati e apprezzati rituali estivi della città, e uno dei pochi di altissimo livello ad essere rimasti gratuiti, l’annuale messa in scena di tragedie e/o commedie shakespeariane nel cuore di Central Park è una produzione del leggendario Public Theater, culla, tra l’altro, di musical rivoluzionari, come Hair, Rent e Hamilton.

In previsione del primo cartellone della presidenza Trump, il teatro fondato da Joseph Papp, e attualmente diretto da Oskar Eustis, ha scelto di puntare su Giulio Cesare (pare non siano gli unici ad aver trovato delle affinità tra la Roma pre-imperiale e lo zeitgeist attuale: secondo il «NYTimes», la tragedia starebbe attraversando un momento di revival un po’ ovunque. Alla 1984). Ma è la produzione newyorkese di quel classico ad essere diventata un caso. È di domenica la notizia che due grossi «corporate sponsor», Delta Airlines e Bank of America, hanno ritirato i loro contributi al Public (Delta nella sua interezza, Bank of America quelli relativi a questa produzione) in seguito a proteste scoppiate dopo la diffusione in rete di immagini dalla messa in scena della sanguinosa morte di Cesare. Si trattava, secondo Fox News e Breibart News, due tra i megafoni più potenti della campagna censoria, cui ha fatto eco un gettonatissimo tweet di Donald Trump Jr., di immagini offensive, che incitavano alla violenza contro il presidente degli Stati uniti.

Nell’allestimento del Public, diretto dallo stesso Eustis, Giulio Cesare (interpretato dall’attore Gregg Henry -il corrottissimo Hollis Doyle di Scandal) sfoggia in effetti un bouffant biondo, la cravatta rossa troppo lunga e una moglie dall’accento slavo. Dopodiché l’idea che questa tragedia di Shakespeare inciti alla violenza contro la Casa bianca, piuttosto che a un ragionamento più profondo sull’autoritarismo e la corruzione della politica, è ridicola. Come ha dichiarato Tony Kushner al NyTimes: «È una tragedia scritta per turbare. Se non ne esci turbato, vuol dire che l’allestimento era pessimo».

Meno ridicola, vista la reazione degli sponsor (e del National Endowment of the Arts – già nel mirino trumpiano-che ha rilasciato un frettoloso comunicato stampa garantendo che questo Giulio Cesare non aveva ricevuto fondi federali) il clima di oscurantismo culturale che questa campagna rappresenta -che funziona tra l’altro sia da destra che da sinistra, alimentato com’è dall’intolleranza endemica delle rete. E di cui gli attacchi al Public sono solo un assaggio.