«A volte un figlio non riesce come te lo immagini». È una frase dura e dolorosa, ma lucida e sincera. Perché è andata così a Gusti, ossia Gustavo Rosemffet, illustratore di origini argentine che da molti anni vive a Barcellona, quando è nato il suo secondo figlio, Mallko, affetto da sindrome di down. La sua prima reazione è stata la paura e il rifiuto: il percorso per l’accettazione è stato travagliato come racconta nel bel libro Mallko y Papà, fresco di premiazione del Bologna Ragazzi Award for Disability all’ultima edizione della Children’s Book Fair, conclusasi pochi giorni fa. L’autore non nasconde i sentimenti controversi: la rabbia, il dolore, e il senso di ingiustizia provato nel dover affrontare un’inaspettata disabilità, parola che contesta e alla quale preferisce piuttosto diversa abilità. Non si fa sconti e non risparmia nemmeno i passaggi più tristi nel descrivere l’avventura iniziata con l’arrivo di Mallko, che ha scombinato le carte e messo in discussione alcune certezze. Non addolcisce la pillola dipingendo le cose come se fossero semplici: «È difficile disegnare il dolore», ammette lui stesso.
È da quel momento che l’autore decide di condividere sentimenti, fallimenti e conquiste. Anche il libro cambia ritmo e diventa più lieve: l’umorismo per Gusti è uno strumento di inclusione, come lo è il gioco. E allora Mallko si trasforma in un bambino dai super poteri che vola sulla città con la sua tuta rossa e blu. Con il papà si diverte, inventa avventure, disegna, legge. Poi c’è la gestione del quotidiano con i problemi di salute, i capricci, la comunicazione che non sempre fila liscia. La scuola, i farmaci da prendere, le notti insonni per le irruzioni nel lettone, fra calci e gomitate. Ma anche la passione per le macchinine, il bisogno di affetto, le corse per strada, il super potere del raggio congelante che usa per immobilizzare le persone. Le operazioni al cuore, agli occhi e per migliorare l’udito. Mallko che pasticcia e colora i disegni del papà. Gusti ribalta la prospettiva e mostra modelli con la sindrome di down che indossano abiti eleganti e persino i Beatles in versione «Sindrome down club band».
Il testo non ha una struttura regolare, non segue un ordine cronologico preciso, sembra piuttosto un quaderno di appunti in cui l’autore ricalca un codice simile a quello di Mallko dove le regole saltano, c’è libertà nel rappresentare il tempo e il luogo. Manca la ricerca di una bellezza grafica, «anche il disegno è diventato più autentico – spiega Gusti – non pulisco più il tratto, lo lascio sporco e irregolare, il disegno è al servizio della storia, per combattere la paura».