I muri a secco sono stati tra i primi esempi di manifattura umana, e sono presenti in tantissime zone del pianeta. Dal 2018 sono stati riconosciuti come «Patrimonio dell’Umanità» dall’Unesco in quanto rappresentano «una relazione armoniosa fra l’uomo e la natura».

COSTRUITI AMMASSANDO le pietre una sull’altra, senza alcun legante, tranne, a volte, terra a secco, sono da sempre serviti per scopi abitativi o collegati all’agricoltura, per delimitare terreni o sorreggere terrazzamenti nelle zone particolarmente scoscese.

GLI ANTICHI MURI A SECCO possono aiutarci nella sfida epocale, quella di aumentare la resilienza del territorio ai cambiamenti climatici. È questa la base del progetto Life Stonewallsforlife cofinanziato dall’Unione Europea, che ha come capofila il Parco Nazionale delle Cinque Terre in Liguria. Luoghi bellissimi ma impervi, difficili da coltivare: lo spopolamento di queste zone iniziato nel dopoguerra, ha messo a dura prova la tenuta di terrazzamenti e muri a secco, spesso semidistrutti dagli eventi atmosferici e dalle frane.

«I TERRAZZAMENTI SONO STATI CREATI fin dai tempi antichi per coltivare, e il muro a secco serviva a contrastare il dilavamento lungo questi versanti molto ripidi», spiega Emanuele Raso, geologo e coordinatore tecnico di Stonewallsforlife per conto del capofila del progetto.«Ma se non vengono mantenuti in buono stato, parte di questi muri collassa, contribuendo alle frane e all’aumento del trasporto solido lungo i corsi d’acqua. I muri ben mantenuti, invece, svolgono invece l’importante funzione di serbatoio e filtro per le acque piovane che scendono verso valle».

IL PROGETTO INIZIATO LO SCORSO ANNO, e rallentato dalla pandemia, sta ora entrando nel vivo dei lavori. Un’iniziativa a cui partecipa anche Legambiente, il dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Genova, Itrb, la Fondazione Manarola e il Diputaciò Barcelona.

ENTRO IL 2025 SI PREVEDE IL RECUPERO e ripristino di 6 ettari di terrazzamenti e 4.000 metri quadrati di muri a secco. Un progetto dal sapore antico ma anche solidale, visto che quaranta persone, tra migranti e disoccupati, parteciperanno a corsi di formazione sulle tecniche di costruzione dei muri a secco. Il progetto ha come obiettivi la creazione di 12 nuovi posti di lavoro nella fase iniziale e 55 posti fissi successivamente.

L’IDEA DELLA PROPOSTA progettuale nasce dall’esperienza della Fondazione Manarola. «Ci troviamo in un anfiteatro naturale, circondato da colline scoscese. Ogni giorno guardiamo le colline sopra di noi con paura. Manarola è una piccola frazione di appena 350 anime, sfiorata dall’alluvione del 25 ottobre del 2011, che uccise 13 persone e spazzò via quasi completamente i borghi vicini di Monterosso e Vernazza», racconta Eugenio Bordoni, vicepresidente della Fondazione Manarola Cinque Terre, attiva in queste zone dal 2014.«Dopo l’alluvione abbiamo deciso di organizzarci e rimboccarci le maniche, facendo manutenzione dei muretti a secco e dei canali di scolo. Purtroppo è un mestiere ormai quasi scomparso, quello dei «maestri murattieri», e noi vogliamo tramandarlo. Gli anziani hanno così insegnato il mestiere a ragazzi migranti, e siamo riusciti a recuperare i primi 100 metri di muretti a secco. Poi abbiamo partecipato e vinto un bando europeo, coinvolgendo anche il Parco».

GRAZIE AL PROGETTO LIFE ORA si può intervenire anche in quelle zone impervie e scoscese: in una seconda fase si potrà replicare l’esperienza nei comuni di Monterosso e Vernazza e nel Parc del Garraf, nella Provincia di Barcellona. Anche Cipro, Croazia, Francia, Grecia, Slovenia, Spagna, Svizzera, paesi dove la tradizione dei muretti a secco è radicata, guardano con attenzione al progetto.

LA FONDAZIONE MANAROLA HA FATTO anche una grande opera di mappatura: «Si tratta di circa 1000 piccoli appezzamenti abbandonati nel dopoguerra. Abbiamo ricontattato tutti i piccoli proprietari, che nel frattempo erano emigrati, i parenti a volte erano ignari di quel pezzo di terra impervio sui monti», spiega Bordoni. «Abbiamo spiegato il progetto e chiesto di dare i terreni in locazione (con affitto simbolico) o comodato d’uso, almeno per 20 anni, ad aziende agricole locali»

IN QUESTI TERRAZZAMENTI VERRANNO impiantate coltivazioni di viti, ma, come spiega spiega Emanuele Raso, «cercheremo di evitare la monocoltura, alternando le viti ad alberi di olivi e limoni. L’obiettivo sarà anche quello di incentivare e aumentare il biologico». Saranno inoltre attivati sistemi di monitoraggio innovativi, messi a disposizione dall’Università, con quattro stazioni di rilevamento che permetteranno di avere informazioni meteorologiche, e dati relativi all’infiltrazione dell’acqua e alla pressione esercitata da quest’ultima nel terreno alle diverse profondità. I dati complessivi verranno poi elaborati e studiati dall’Università di Genova per rendere i muri più stabili e resistenti alle precipitazioni rese sempre più intense dal cambiamento climatico.

MODERNITA’, RICERCA SCIENTIFICA e tradizione che si intrecciano, per far fronte alla sfida di tutti i tempi. «Questi muri non sono solo utili solo a frenare la violenza dell’acqua e a combattere l’erosione del suolo – continua Raso – ma sono anche un importante ecosistema che favorisce la biodiversità della fauna e della flora spontanea: i muretti a secco, infatti sono corridoi ecologici, per insetti, piccoli rettili, anfibi, uccelli che trovano infiniti anfratti tra le pietre, dove rifugiarsi e nidificare».

I MURETTI RIVESTONO ANCHE una importante funzione nella lotta alla desertificazione e salificazione del suolo. Si rinvengono infatti in paesi molto aridi, dalla Cina, alla Nuova Zelanda all’Africa e del Medio Oriente, e in tutto il bacino del Mediterraneo. Vicino ai muri a secco si crea un microclima particolare che permette di superare i periodi più duri di di siccità: la pietra raccoglie l’umidità dell’aria e la cede gradualmente al terreno. Uno dei più antichi manufatti dell’umanità, viene quindi riscoperto come utile baluardo al clima impazzito.