Il mondo è attraversato da tre crisi, profonde e interdipendenti. Quella ambientale, o del sovrasfruttamento delle risorse, quella del welfare, direttamente collegata alla fiscalità e, infine, quella migratoria.

Da questo contesto emerge una demarcazione tra vincenti e perdenti, tra chi sta meglio e chi peggio, che non è più quella che passa lungo l’asse Nord-Sud del mondo. In ogni paese, compresa l’Italia, ci sono «perdenti della globalizzazione», come li definisce Giovanni Carrosio che, nel suo libro I margini al centro (Saggine Donzelli, euro 18) offre una lettura non retorica di questo fenomeno: se è vero che le aree rurali, o meglio i luoghi lasciati indietro, stanno manifestando forti segnali di malessere, i cui sintomi sono rifiuto della diversità, scetticismo nei confronti del sapere scientifico, intolleranza, domanda di uomini forti capaci di ristabilire l’ordine, lo è anche che queste aree interne e periferiche rappresentano oggi spazi di critica e di sperimentazione sociale, dove avanzano altri modelli di sviluppo. Rappresentano, per usare le parole dell’autore – un «laboratorio sociale di nuove pratiche, che riscoprono la reciprocità come modalità di scambio e la comunità come luogo di azione».

CARROSIO, che è nato nel 1980 e insegna Sociologia dell’ambiente e Governo dei sistemi a rete all’Università di Trieste, ha potuto elaborare la sua riflessione a partire da due esperienze che coinvolgono da una dozzina di anni: una è il lavoro della comunità di pratica delle «Aree fragili», formata da ricercatori, attivisti, policy makers, amministratori, militanti che dal 2006 si ritrova ogni anno a Rovigo, per discutere di ricerche ed esperienze; l’altra è la partecipazione in qualità di progettista dal 2014 al 2018 alla Strategia nazionale per le aree interne (Snai), una politica pubblica innovativa che si occupa di sviluppo e coesione territoriale per combattere lo spopolamento delle aree ai margini, migliorando le condizioni di vivibilità.

LA SNAI È UNA POLITICA place-based, costruita attraverso processi partecipativi sul territorio: l’Italia dei margini, quindi, Carrosio la conosce bene (e c’è anche nato, in Val di Lemme, nell’alessandrino al confine con la Liguria). Ed è lì che ha visto Cooperative di comunità che erogano servizi, infermieri e ostetriche di comunità che s’inseriscono nella rete di assistenza territoriale, asili nel bosco e agri-asili, sistemi di mobilità a chiamata gestiti in forma no-profit, nuove no-profit utility locali per la gestione di risorse ambientali e di servizi alla popolazione, badanti di borgo, cooperative di educatori che offrono nuovi modelli didattici, farmacie che divengono presidi multifunzione, primo soccorso partecipativo che attiva la rete di comunità per le emergenze, sistemi di accoglienza migranti che generano «nuova comunità» e opportunità lavorative.
«I margini ci pongono di fronte all’urgenza di un pensiero nuovo, alto e radicale, capace di tenere insieme lo sguardo sul mondo e l’attenzione ai luoghi – scrive Carrosio -. Ci chiedono di rimettere in moto domande antiche, che devono trovare soluzioni inedite: chi è cittadino; di chi è la terra; quali istituzioni e confini di policy bisogna costruire per reincorporare l’ambiente nell’economia; come rendere appropriate le tecnologie ai fabbisogni dei luoghi; come disegnare istituzioni nuove per economie civili e pre-distributive, che nei margini trovano nicchie di incubazione; come ricostruire il welfare, contemperando la domanda di mutualismo che nasce dal basso con il ruolo di garanzia dello Stato, perché nelle diversità i diritti siano garantiti in modo effettivo a tutti.