In una recente intervista a proposito dell’illiberalità degli studi economici, Luigi Pasinetti afferma che «Adesso la situazione è addirittura peggiorata. E ciò è particolarmente preoccupante. Gli approcci alternativi sono scomparsi anche dall’insegnamento. Con i neoclassici di un tempo si poteva almeno discutere alla pari. I vecchi neoclassici conoscevano gli approcci alternativi al loro, e lo stesso valeva per noi. Adesso non è più così. Le nuove leve non conoscono più gli approcci alternativi. Non essendo questi insegnati, a volte addirittura ne ignorano l’esistenza, convinti, come sentono dire dai loro docenti. In questo modo, non si tratta più di pluralismo, ma di egemonia: un processo che viene portato così ampiamente a compimento».
Più che egemonia forse si dovrebbe parlare di dittatura. In un simile contesto, un possibile antidoto può essere il volume Squilibrio, scritto da Roberto Romano e Stefano Lucarelli con prefazione di Paolo Leon (Ediesse, pp. 218, euro 16). Si tratta di un ritorno alle origini, quando l’analisi della situazione economica era il frutto congiunto di una teoria economica e delle sue applicazioni di politica economica, in un rapporto sinergico che prefigurava un approccio interdisciplinare.

LA SEGMENTAZIONE e la specializzazione attuale della scienza economica è invece caratterizzata o dalla formulazioni di astratti (e astrusi) modelli matematici, del tutto sganciati dalla materialità della realtà o da analisi empiriche di politica economica basate su metodi econometrici che pretendono di misurare ciò che non è misurabile. Si tratta di un polverone di expertise, unicamente finalizzato a rendere egemone e imprescindibile la politica del principe di turno (there is no alternative).

IL LIBRO di Romano e Lucarelli si muove, in modo chiaro e sapiente, in tutt’altra direzione, cercando di spiegare la dinamica strutturale del sistema economico italiano negli ultimi decenni. Si muove all’interno di una logica keynesiana con l’intento di analizzare i rapporti tra sviluppo economico, struttura produttiva e domanda effettiva e i fondamenti della crescita economica. Una crescita economica che dipende dall’interazione sinergica tra progresso tecnologico e composizione della domanda. Nel perseguire tale analisi, i riferimenti al pensiero economico sono molteplici sino a costituire un veloce breviario delle principali teorie economiche, da Smith, Ricardo e Marx sino a Schumpeter e Keynes. Ciò che è stato prodotto dal pensiero economico in un’ottica strutturale e sistemica viene ripreso anche con l’ausilio, pedagogico, di brevi box che, in modo chiaro e conciso ripropongono le teorie economiche che ne stanno alla base. Teorie e argomentazioni che ci sono più di aiuto (molto più delle modellizzazioni teoriche del mainstream contemporaneo) per comprendere l’evoluzione della struttura economica.

QUESTO APPARATO teorico, che descrive un’economia monetaria di produzione e non una semplice e irreale economia di puro scambio, ci permette di analizzare e comprendere il capitalismo contemporaneo. Da questo punto di vita, pur nella sua semplicità (ed è un merito), questo libro è allo stesso tempo una manuale di economia politica e di politica economica che dovrebbe essere insegnato nelle vetuste università del regno italico.

IL RECUPERO del concetto di dinamica strutturale, ovvero della necessità di analizzare i processi economici dal lato del processo di accumulazione e della domanda effettiva (leggi realizzazione) e non solo dello scambio, è il leit motiv di questo testo e rimanda non a caso a una letteratura economica oggi misconosciuta nell’accademia italiana ma che è stata foriera di contributi fondamentali in Italia e non solo, da Sraffa, a Pasinetti allo stesso Leon (del tutto dimenticati nell’odierna dittatura accademica). L’analisi strutturale a cui Romano e Lucarelli fanno riferimento, anche per un’analisi della situazione economica italiana, si fonda essenzialmente (e correttamente) su due variabili principali: la natura del progresso tecnologico e la composizione della domanda aggregata.

NEGLI ANNI OTTANTA con l’avvento del nuovo paradigma tecnologico (Ict) si registra un primo punto di rottura, che modifica in modo irreversibile le percezioni soggettive non solo del lavoro ma anche dell’accumulazione. Il rapporto capitale-lavoro si modifica in entrambi i termini. Il capitale diventa sempre più intangibile, il lavoro sempre più precario. Detto in altri termini, il profitto svanisce perché si trasforma in rendita, il salario tende a liquefarsi e cambiare pelle (intermittente, simbolico, promessa, inesistente). Una nuova dinamica di struttura si paventa all’orizzonte, al cui interno si manifestano variabili che sempre meno sono possibili di misurazione: la soggettività della vita come fonte di valore e l’immateriale come modo di produzione. Siamo pronti a coglierne la portata?