L’Officina Filmclub in collaborazione con la Cineteca nazionale presenta alla Casa del Cinema di Roma martedì 10 maggio l’omaggio a Marco Leto, una giornata alla riscoperta di un regista che occupa un posto rilevante nell’analisi che nel dopoguerra è stato fatto del fascismo con il film La villeggiatura, suo esordio del 1973 presentato alla Quinzaine di Cannes di quell’anno, Nastro d’argento come miglior regista esordiente nel 1974. In apertura di giornata, alle ore 16 è in programma la versione eccezionalmente rimontata dallo stesso Leto della serie I vecchi e i giovani (coproduzione Rai con Antenne 2), cinque puntate accorciate di un’ora. Alle ore 19 ci sarà l’incontro «Gli amici ricordano Marco Leto» con, tra gli altri, Adalberto Maria Merli interprete della Villeggiatura e Cecilia Mangini che del film è stata cosceneggiatrice con Lino Del Fra. La villeggiatura è il film dell’esilio di Carlo Rosselli fondatore del movimento «Giustizia e Libertà» condannato a cinque anni di confino politico a Lipari. Marco Leto in un suo programma televisivo aveva già raccontato «la fuga da Lipari» di Rosselli, Lussu, Dolci e Nitti. Infatti due anni dopo l’esilio i quattro riescono a fuggire a Parigi dove continuano la loro attività politica contro il fascismo. La villeggiatura è un importante momento di riflessione sulle classi italiane dell’epoca, in cui i due protagonisti, Rossini, il professore universitario antifascista appartenente all’alta borghesia (Adalberto Maria Merli) e il commissario Rizzuto (Adolfo Celi) responsabile dei confinati potrebbero avere diversi punti di contatto (come già ci aveva mmostrato Renoir nella Grande illusione), ma alla fine il professore rinuncia ai privilegi che gli sono offerti e sceglie la lotta politica (il film è in programma alle ore 22). Scrive nelle sue note Cecilia Mangini: «Quando Marco ci consegna il soggetto de La villeggiatura, il suo libretto ha l’eleganza della composizione a stampa e una bella copertina in cartoncino color marron glacé. Lo leggo e cado in innamoramento totale e subitaneo. È un bell’inizio il nostro, mio e di Lino, per scrivere una sceneggiatura. C’è anche da festeggiare il decennale di All’armi siam fascisti!, lavorando finalmente alla realizzazione di un altro film antifascista, ma in modo più sottile: un film sulla continuità dello stato da Giolitti a Mussolini, e per traslato dal ventennio fascista alla repubblica. È una continuità senza innocenza. Lavorare alla sceneggiatura diventa un incontro sempre più ravvicinato con l’l’universo «confinario», nei due momenti suoi fondamentali: il rapporto di precaria collaborazione tra le forze politiche antifasciste di estrazione borghese e quelle di estrazione proletaria, e l’ambiguo rapporto tra l’antifascismo borghese e il fascismo borghese dal volto moderato e rassicurante. Il film è orchestrato polifonicamente intorno al suo protagonista: un professore universitario che si è rifiutato di prestare giuramento di fedeltà al regime, i suoi incontri/scontri con i comunisti dogmatici e settari (rozzi e dogmatici che fossero, per noi rappresentavano i personaggi positivi del film), e la vischiosità del suo legame con il deuteragonista della story, il commissario di polizia dell’isola, antitesi vivente della violenza squadrista, un uomo colto, di modi civili, che rappresenta il volto moderato del fascismo, il volto che secondo Marco Leto – e secondo noi – resta il più resistente e pericoloso. Questi temi si intrecciano e collidono e deflagrano sopra il basso continuo della continuità delle istituzioni statali dall’Italia pre-fascista all’Italia fascista fino all’Italia post-fascista: le istituzioni si perpetuano nell’avvicendarsi dei regimi costituzionali, e sopratutto persistono gli uomini che le rappresentano, cosicché – cito a memoria – «gli allievi di professori universitari conservatori al tempo di Giolitti diventeranno commissari di polizia con Mussolini e promossi questori con Scelba». Lavorare con Marco Leto è stata una delle esperienze più positive che io ricordi, e non perché quella sceneggiatura fosse facile, anzi!, ma la sentivamo complessa e densa e forte, storia nostra, occasione privilegiata per fare i conti con il fascismo in camicia bianca, nato prima del ventennio e terminato quando?… a Piazzale Loreto no di certo».