Cultura

Quei corpi periferici di Pedro Lemebel

Quei corpi periferici di Pedro LemebelUn fotogramma tratto dal film «Lemebel», di Joanna Reposi Garibaldi (2019)

Narrativa «Irraccontabili», le microstorie dello scrittore cileno per Edicola Ediciones e con una introduzione della femminista Pía Barros

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 4 dicembre 2020

Sono passati quasi sei anni dalla morte di Pedro Lemebel, artista visuale, scrittore e soprattutto autore di cronache, forma narrativa da lui reinventata come «un insieme di ritagli, di materiali bastardi, un pastiche di canzone popolare, testimonianze e voci della strada (…) una corazza poetica davanti ai poteri della letteratura e del giornalismo».

QUALCUNO, INSOMMA, che ha usato il corpo come barricata contro il potere, dinamitando una cultura trasversalmente maschilista (impossibile dimenticare le scarpe di vernice rossa dal tacco vertiginoso, posate sulla sua bara insieme alla bandiera del partito comunista) e attaccando con furia da «guerrigliera suicida» la cancellazione della memoria e il disastro neoliberista.

La sua presenza/ assenza si è più che mai fatta sentire attraverso murales e scritte comparsi nelle strade di Santiago durante il cosiddetto estallido social dei mesi scorsi: una devota memoria «di strada» cui si aggiungono recenti profili biografici, nuove letture critiche della sua opera, raccolte di interviste, uno splendido documentario di Juana Reposi Garibaldi premiato alla Berlinale del 2019 e il film Tengo miedo torero, presentato quest’anno a Venezia, lodato da alcuni e considerato da altri una versione «decaffeinata» del romanzo da cui è tratto (l’unico di Lemebel, a lato di sette raccolte di cronache).

Non mancano, ovviamente, i recuperi postumi di testi inediti o poco noti, per una volta tutt’altro che inutili o deludenti: all’affettuoso libretto Mi amiga Gladys dedicato a Gladys Marín, defunta segretaria del partito comunista, è seguito due anni fa Incontables, raccolta di racconti giovanili pubblicata ora in italiano da Edicola Ediciones (Irraccontabili, traduzione di Silvia Falorni, pp. 112, euro 15), con le stesse illustrazioni in bianco e nero dell’autoedizione in trecento esemplari del 1986, composta da sette racconti stampati su carta da pacchi e racchiusi in una scatolina di cartone da imballaggio.

IL VOLUME INCLUDE altre due storie e tre microracconti apparsi in antologie e riviste, oltre a una bella introduzione di Pía Barros, ottima scrittrice cilena fieramente femminista, che disegna il ritratto a tutto tondo di un ragazzo cresciuto in un poverissimo quartiere popolare, ovvero Pedro Mardones, giovane professore di liceo presto licenziato, presenza assidua nei laboratori di scrittura, venditore ambulante di piccolo artigianato, poeta che avrebbe rinnegato i propri versi, scrittore debuttante intento a confezionare insieme a Pía quel suo primo libro-oggetto.

Nati nella Santiago della dittatura, tra coprifuoco e repressione poliziesca, i racconti contengono già i temi, i personaggi, le voci e gli sfondi urbani caratteristici dell’opera di colui che, rinunciando al cognome paterno per adottare quello della madre, sarebbe diventato Pedro Lemebel, pronto a lanciarsi in memorabili performances e a produrre il suo primo, meraviglioso libro di cronicas, La esquina es mi corazón, nel quale, scrive Soledad Bianchi, «inaugurò uno stile letterario dal linguaggio critico, caustico e audace, creando nuove strutture a partire dal colloquiale e dal reincontro con le radici profonde della parlata popolare».

SE LA SCRITTURA non è ancora quella sontuosa e stupefacente delle cronache, non c’è dubbio che nei racconti si intravedano il tono lirico e dolente e l’ansia di denuncia della futura proposta di Lemebel, così lontana dalla letteratura della Transizione, pronta a nascondersi «sotto il lenzuolo bianco dell’amnesia». Passando da un Babbo Natale pedofilo a un vescovo lascivo, dal brillare di un dente d’oro nella bocca di una prostituta a una vecchia a caccia di ragazzini, dalle violenze dei militari a reazioni estreme e testarde, Irraccontabili narra con sorprendente perizia i sogni irrealizzabili dei poveri, gli adolescenti indifesi e crudeli delle periferie, i corpi logorati, gli orizzonti fangosi delle poblaciones, una quotidianità fatta di esclusione e paura.

Un altro Lemebel, diverso eppure riconoscibile e non meno affascinante, che prepara l’irruzione sulla scena sociale e letteraria cilena della loca intesa come soggetto politico ed eversivo, decisa a esplorare le vie di una resistenza sempre più esplicita e rabbiosa.

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