Dalla ruvida partita di poker giocata a colpi di rilancio a un più paziente, astuto e subdolo gioco di scacchi. Quella tra Conte e Renzi non è una tregua: è solo uno slittamento nello schema e nelle modalità di gioco imposto dalle circostanze. Perché nessuno dei due può permettersi di apparire come quello che ha provocato la rottura.

Ufficialmente la marcia indietro è stata ingranata da entrambi i contendenti. I renziani fanno sapere che voteranno la fiducia sul Milleproroghe ma anche il ddl sul processo penale, che cangura al suo interno il lodo Conte bis sulla prescrizione.

RENZI STESSO ABBASSA I TONI. Ripete che «non molleremo di un centimetro» ma derubrica la guerra sulla prescrizione a una questione di pura costituzionalità: «Cercheremo di cambiarla in Parlamento prima che venga bocciata dalla Consulta». Poi rilancia la palla avvelenata a Conte: «Se vuole cacciarci per un Conte ter, faccia pure». Cacciare i renziani? E quando mai! Il premier è mellifluo: «Ma sarebbe normale che io lavorassi a un Conte ter? Non ho nessun problema con Renzi né con altri leader».

Dietro la facciata le cose stanno diversamente. Qualche renziano di altissimo grado si lascia sfuggire, in privato, previsioni fosche sul futuro del premier: «Non mangia la colomba». Sull’altro fronte il portavoce del premier, Rocco Casalino, si lascia rubare una registrazione in cui esclude le elezioni, anche perché «ci sarà un Conte ter». E in effetti la grande pesca dei «responsabili» è in corso. Sono 11, no 13, forse 15. Fioccano nomi, per lo più provenienti da Fi. Non tutti sono davvero pronti al salto, ma qualcuno certamente sì. Conte scommette anche sulle defezioni tra i 17 senatori renziani: non tornerebbero in Parlamento, difficile credere che accetteranno di buon grado il sacrificio.

«I responsabili ci sono», assicura un senatore che conosce bene palazzo Madama. «Il problema è che Conte li vuole ma il Pd no», aggiunge però. In effetti a Zingaretti l’idea di puntellare il già fragilissimo governo sostituendo i renziani con pezzi di Fi non sorride affatto. E i dubbi del Pd nel ricorrere a una pattuglia di novelli Scilipoti sono un elemento del quale i giocatori impegnati nella partita finale devono tenere conto.

PER IL PD È ESSENZIALE che a rompere sia Renzi: se mettesse in campo la famigerata mozione contro Bonafede non ci sarebbe più alcun margine. Non succederà. Quella minaccia era stata ventilata quando sembrava che il governo volesse forzare le regole inserendo il Conte bis nel Milleproroghe.

Ora che il lodo è stato invece collocato nella sua sede più naturale, il ddl sul processo penale, la mozione di sfiducia sarebbe inspiegabile e apertamente pretestuosa. Renzi lo sa e infatti ieri di sfiducia non ha parlato nessuno, neppure a bassissima voce. Ma quasi inevitabilmente, più prima che poi, nel giro di qualche settimana, Iv si troverà a votare qualche emendamento dell’opposizione anche al Senato, dove i senatori di Renzi sono determinanti, a differenza che alla Camera.

IL CASUS BELLI esploderà quando capiterà l’incidente e la maggioranza andrà sotto. In quel momento arriverà al pettine un nodo che non riguarda solo il capitolo giustizia. Ormai tutti sono convinti che Renzi non smetterà mai di dare battaglia. Non può farlo, perché la stabilità del governo sarebbe esiziale per i suoi progetti. Dopo la giustizia sarà il turno della politica economica, con una nuova offensiva già pronta sul Reddito di cittadinanza e Quota 100.

Quando, tra una settimana o fra un mese, il fattaccio si verificherà davvero, Conte dovrà scoprire se e quanti sono i responsabili a disposizione del suo terzo governo e anche se il Pd sarà davvero disposto a proseguire con questa formula in condizioni ancora più traballanti. Nello stesso momento Renzi, il cui punto di forza è la semi-impossibilità di sciogliere le camere prima del referendum sulla riforma costituzionale, del ridisegno dei collegi e del varo della nuova legge elettorale, verificherà se il tentativo di dar vita a un governo diverso è destinato al successo o al fallimento. Il leader di Iv gioca su due tavoli paralleli.

LA VIA MAESTRA sarebbe un governo sostenuto dalla stessa maggioranza con un esponente del Pd, probabilmente Gualtieri, premier. Allo stesso tempo però il dialogo con il moderato della Lega Giorgetti, in vista di una diversa maggioranza e di un governo istituzionale, prosegue. Sulla carta sembrerebbe una scommessa persa in partenza, ma l’alternativa sarebbero elezioni in settembre, sull’orlo di una legge di bilancio che sarà difficile quanto quella dell’anno scorso e forse anche di più. Il ragazzo di Rignano ritiene che Mattarella eviterà l’azzardo e chissà se ha ragione.

Queste le strategia in campo sulla carta. Che dovranno però are i conti con variabili di ogni tipo: a partire dal rebus M5S.