Hassan Sharif (ph Maaziar Sadr), Courtesy Gallery Isabelle van den Eynde, Dubai

Fare-coltivare-cultura: una connessione che per Hassan Sharif, il pioniere dell’arte concettuale in Medio Oriente e nei paesi del Golfo, che si è spento per un brutto male il 18 settembre a Dubai, Emirati Arabi Uniti (dove era nato nel 1951) è alla base del suo procedimento intellettuale e artistico di «creatore di oggetti». «Prendere cose dalla realtà sociale, portarle nel mio atelier, sottoporle ad un procedimento ossessivo, fatto di processi molto semplici, ingenui, stupidi, silenziosi, inetti, non-sense, inutili, falsi e goffi. Dopo tutti questi processi, le riporto nella società come oggetti all’interno del contesto delle opere d’arte contemporanea, così da erigerle a rappresentanti del mio stato d’animo e della mia idea di natura e funzione dell’arte nel tempo presente», scrive nelle pagine del catalogo della mostra Too Early, Too Late (2015).
Instancabile osservatore, teorico, mentore – sono in parecchi a ricordarlo per la sua generosità, oltre che per la coerenza e l’onestà intellettuale – Hassan Sharif ha costruito la sua poetica provocando senza scioccare, consapevole che la sua «missione» avrebbe avuto senso solo se fatta sul posto. È per questo che dopo aver studiato a Londra tra il 1979 e il 1984, vincendo una borsa di studio alla Byam Shaw School of Art (oggi assorbita dalla Central Saint Martins), decide di tornare a Dubai.
Fare arte non solo come meccanismo autoreferenziale, quindi, ma con il coinvolgimento e l’educazione di un pubblico che, certamente fino all’inizio degli anni Ottanta, non solo nel suo paese ma in tutta la regione del Golfo, non aveva grande familiarità con l’arte contemporanea. Negli anni ’80 crea Al Marijah Art Atelier a Sharjah ed è tra i membri fondatori della Emirates Fine Art Society e dell’atelier artistico di Youth Theater and Arts di Dubai. Nel 2005, insieme ad altri tre artisti, dà vita a The Flying House, spazio dedicato alla promozione degli artisti contemporanei degli Emirati. Espone in mostre personali e collettive internazionali, dall’Arab Museum of Modern Art di Doha, Qatar alle Biennali di Venezia: nel 2009 rappresenta l’UAE in occasione della sua prima partecipazione nazionale (It’s Not You, It’s Me) e nel padiglione ADACH Platform for Visual Arts; nel 2015 alcuni suoi lavori fanno parte della mostra 1980 – Today: Exhibitions in the United Arab Emirates, curata dalla Sheikha Hoor Bint Sultan Al Qasimi di Sharjah. Sfidando le convenzioni aveva iniziato a dipingere già ai tempi della scuola (sua madre cercò inutilmente di dissuaderlo dal raffigurare gli occhi o i capelli delle donne), esercitandosi con estrema disinvoltura nel disegno caricaturale, tanto da essere ingaggiato dal quotidiano Dubai News sul quale, settimanalmente, usciva la sua pagina se non irriverente, certamente critica nei confronti della politica e della società del tempo. Quest’esperienza, come successivamente la lezione di Fluxus, sarà centrale nell’evoluzione del suo lavoro, nella modalità di approccio, elaborazione e restituzione critica del reale, con particolare attenzione al fenomeno del consumismo. Attingendo ad un campionario di oggetti della vita quotidiana (cartoni, matite, stracci, fili, giornali, plastiche colorate…) che trova casualmente o che si va a cercare intenzionalmente – accumulandoli – Sharif costruisce le sue sculture – intime o monumentali – i suoi collage, i suoi libri, come in passato utilizzava il proprio corpo per le azioni performative documentate attraverso il mezzo fotografico. Prima, però, ne cancella l’aspetto funzionale e prosegue aggiungendo strati su strati, nel tentativo di svelare i «segreti» che ciascun materiale ha sempre in sé.