Scrivere degli Stones vuol dire scrivere anche di Mick Jagger, ma scrivere di Jagger non vuol dire parlare delle «pietre rotolanti». Questo suscita al primo impatto il riascolto integrale della discografia solista del cantante della più grande band di rock’n’roll del mondo, oggi che è disponibile per la Universal e nella sua interezza, oltretutto in formato vinile. I quattro album realizzati tra il 1985 e il 2001, rappresentano dei coriandoli nella longevità artistica dei Rolling Stones e quasi un indirizzo di come difficilmente l’identificazione con un suono, con uno stile e con un modo di vivere la musica, pur oggi «istituzionalizzato», possa all’improvviso svestirsi di tutto. L’avevano capito subito gli ex- Beatles che nel proseguo delle carriere soliste conservarono, nelle rispettive specificità, lo stile musicale che l’aveva resi celebri. Non lo capì Jagger. Ed infatti, al di là delle posizioni conquistate nelle classifiche di vendita, suonano bizzarramente «dance» sia il debutto di She’s the Boss (1985) sia il successivo Primitive Cool di due anni dopo. Con il raffinato pop-rock di Goddess in the Doorway del 2001 in apparenza si chiude il cerchio che ha un colpo di coda diciotto anni dopo quando ritornato per un momento lo «street fighting man» d’un tempo, Jagger pubblicò il più politico dei suoi singoli England Lost/Gotta Get A Grip occupandosi di post-brexit e terrorismo.